DAMASCO, SIRIA – Di tutti i Paesi arabi la Siria era considerata la meno probabile prossima tappa delle convulsioni mediorientali che furoreggiano nella regione da due mesi. C’erano state proteste contro il regime del presidente Bashar al-Assad, al potere da 11 anni, ma nulla di paragonabile a quando successo in Tunisia e in Egitto o a quanto sta succedendo nello Yemen e nel Bahrain.
Poi, domenica scorsa, al regime sono saltati i nervi e nella città meridionale di Daraa, 120 km da Damasco, polizia e soldati hanno sparato uccidendo 15 dimostranti. Adesso a Daraa sono calate ingenti forze di sicurezza che l’hanno praticamente isolata dal resto del territorio, interrompendo per buona misura anche i collegamenti telefonici. Dal cielo giunge il rombo degli elicotteri d’assalto. La tv ha parlato di 25 vittime, i militanti dicono almeno 100. Secondo il quotidiano panarabo Asharq al Awsat le truppe antisommossa hanno sparato gas paralizzanti sulla folla.
”E’ troppo presto per esprimere una valutazione consistente sulle possibili conseguenze dell’eccidio di Daraa”, ha dichiarato al Christian Science Monitor un diplomatico europeo a Damasco, ”ma chiaramente è l’avenimento più grave accaduto in Siria finora, e non mi sento di escludere che potrebbe trasformarsi in qualcosa di più pericoloso”.
”La gente è nervosa ed ha paura”, dice un giovane di Damasco molto amico di Nahid Boseyah, una delle cinque donne arrestate la settimana scorsa durante una protesta davanti al ministero dell’Interno. La Boseyah, che attualmente sta facendo lo sciopero della fame, è una del centinaio di attivisti per i diritti umani cui è vietato viaggiare nel Paese.
Secondo il giovane, che per evidenti ragioni di sicurezza ha voluto mantenere l’anonimato, lui e il 90 per cento dei siriani sono ”assolutamente sicuri che anche in Siria scoppierà una rivolta come quella tunisina”.
Le domande dei siriani stanchi del regime di Assad non sono molto diverse da quelle degli altri arabi che si sono ribellati. La fine della Legge sull’Emergenza adottata nel 1963 quando il partito di governo Baath prese il potere, il rilascio dei prigionieri politici, libere ed oneste elezioni presidenziali e parlamentari, riforme economiche per ridurre disoccupazione e povertà. Una miscela di rivendicazioni che, nell’infuocato clima attuale, può esplodere prima ancora che qualcuno si accorga che sta per accadere.
Gli analisti ritengono che sia troppo presto per prevedere se le attuali proteste assumeranno dimensioni tali da rappresentare un pericolo per il regime. Molto dipende, dicono, dalla volontà del popolo di procedere con le manifestazioni ed anche dalla risposta del governo, che finora è stata un misto di riconciliazione e forza bruta.
A Damasco, calma ma presidiata da ingenti forze di sicurezza, gli umori sono vari. Molti residenti hanno paura, e citano l’eccidio di Daraa come prova che una rivolta violenta provocherebbe un’altrettanto violenta risposta da parte del regime, simile a quella scatenata dal colonnello libico Muammar Gheddafi.
Secondo gli osservatori, i siriani aspettano e guardano la Libia. Quanto più a lungo Gheddafi resiste, tanto più Assad si rafforza. E nella capitale circolano voci secondo cui Assad, seguendo l’esempio di Gheddafi, ha già assunto mercenari. Si dice anche che combattenti Hezbollah siano entrati nel Paese, per ogni evenienza.
Ecco alcuni video di Youtube che mostrano le violenze in Siria e la reazione della polizia: