Copenhagen, arrivano i leader: inutile sfilata o accordo?

Pubblicato il 16 Dicembre 2009 - 09:45 OLTRE 6 MESI FA

A Copenhagen, blindatissima per la concomitanza di due cortei, arrivano i leader mondiali: il rischio è che la loro presenza si trasformi in un’inutile parata, visto lo stallo della conferenza, che finora non ha prodotto né cifre certe né un’agenda con scadenze vincolanti, né tantomeno accordi sulle compensazioni finanziarie per i paesi poveri. E’ già arrivato Brown martedì sera e non ha nascosto il suo scetticismo sugli esiti del vertice, mentre la Merkel ha confessato “di essere un po’ nervosa”. Oggi arriva Obama, fiducioso come al solito: molta attesa anche per Chavez e Mugabe. Ma si può parlare di fallimento se Al Gore, l’ex vicepresidente americano divenuto paladino globale dell’ambiente, già parla della necessità di un altro summit da tenersi in luglio a Città del Messico per rimediare all’impotenza decisionale riscontrata oggi?

Un possibile punto di mediazione è sopraggiunto con l’introduzione del tema dei limiti alla deforestazione. Ne ha parlato il principe Carlo d’Inghilterra – tanto ispirato quanto poco rilevante – che ha invocato la difesa delle foreste per motivi ecologici.

In realtà la questione può aprire scenari interessanti se legata all’aspetto pratico del taglio della deforestazione come contropartita negoziale. Il Brasile di Lula, per esempio ha cambiato linea rispetto alla precedente volontà di non arrestare il suo arrembante processo di sviluppo: ora propone un taglio dell’80% della deforestazione in Amazzonia, in cambio otterrebbe di non pagare il prezzo della riduzione delle emissioni. Anche gli Stati Uniti di Obama sono interessati a questo apprroccio.

Finora è stato riconosciuto un premio ai paesi che riforestavano, non a quelli che mantenevano intatte le foreste, creando così un paradosso economico perché in assenza di un conteggio complessivo tagliare e riforestare poteva risultare conveniente. Copenaghen dovrebbe rimettere in sesto il piano anti-gas serra concedendo un riconoscimento ai paesi virtuosi, quelli che non possono riforestare perché hanno ancora le foreste originarie (tra l’altro incomparabilmente più vantaggiose dal punto di vista della biodiversità).