Datagate: scoop o guerra fredda della disinformazione pilotata da Usa e Russia?

di Redazione Blitz
Pubblicato il 31 Ottobre 2013 - 12:43 OLTRE 6 MESI FA
Datagate: scoop o guerra fredda della disinformazione pilotata da Usa e Russia?

Datagate: scoop o guerra fredda della disinformazione pilotata da Usa e Russia? (Ap-LaPresse)

ROMA – E se l’informazione sul caso Datagate fosse disinformazione pilotata dai servizi segreti delle due superpotenze della guerra fredda, ovvero Usa e Russia? La “vecchia Europa”, scrive Luciano Tirinnanzi su Lookout news, sarebbe ancora una volta la “scena del delitto”.

Dalla Russia con amore: il Datagate è una guerra di spie?“: questo il titolo dell’editoriale che apre il numero di Lookout news di novembre:

“Proviamo a immaginare che dietro al gigantesco scandalo Datagate, che minaccia i rapporti diplomatici, commerciali e quant’altro tra l’America e gli Stati amici del mondo, ci sia qualcosa di più di una spy story dai toni farseschi e dai tratti inquietanti. Facciamo un’ipotesi più intrigante e teorizziamo che dietro a tutto ciò si celi un progetto più grande, e magari pure raffinato, come non lo si vedeva dai sempre più nostalgici anni della Cold War. Ad esempio, che dietro al caso Datagate – lo smascheramento a mezzo stampa dei più inconfessabili segreti dell’intelligence USA, grazie a una fuoriuscita senza controllo d’informazioni in possesso di un ex funzionario infedele – ci sia la regia di una potenza mondiale, diretta concorrente degli Stati Uniti.

Molti indizi portano a ritenere che oggi in Europa sia in atto una vera guerra di disinformazione, che oppone chi ha interessi strategici nei confronti dell’Unione Europea: ovvero Usa e Russia, divise tra shale gas e accordi di libero scambio.

Ma andiamo con ordine. A ben vedere, la NSA, National Security Agency, era l’agenzia d’intelligence americana più segreta degli Stati Uniti, mentre oggi è involontariamente la più famosa. Sin dalla sua fondazione nel 1952, essa è cresciuta fino a diventare più indaffarata della stessa CIA e viene ormai considerata dal governo di Washington uno strumento essenziale per garantire la homeland security.

Come noto, le telecomunicazioni sono oggi tanto più reali quanto centrali nella vita di ogni società moderna e sviluppata. In primis negli Stati Uniti, che detengono il primato in questo settore, perché per primi hanno avuto accesso alla tecnologia più avanzata, vale a dire internet. Essendone i creatori, e dunque i più esperti, ne hanno fatta una forma di cultura diffusa e massificata al punto che essa ha permeato lo stile di vita americano, terreno fertile e particolarmente ricettivo tanto alle matematiche applicate quanto ai deliri di onnipotenza.

Qualcuno, dalle parti di Washington, anni fa teorizzò le intercettazioni di massa come sistema efficace di tutela e controllo della nazione. Si chiamava J. Edgar Hoover. E, in seguito, qualcun altro – che si chiamava Richard Nixon – lo mise in pratica grazie alla propria posizione privilegiata. Gli andò male, ebbe un perdono presidenziale e si dovette fare da parte. Ma quella teoria fece comunque scuola negli ambienti governativi e fu infine applicata nell’epoca in cui poteva essere sfruttata meglio, quando cioè quella tecnologia aveva ormai raggiunto il suo punto più alto.

Oggigiorno questo sistema d’intercettazioni permette di raggiungere (quindi spiare) chiunque e ovunque, per carpirne i più intimi segreti e le abitudini. Volendo, è persino possibile ascoltare in diretta, comodamente seduti su un divano Chesterfield a migliaia di chilometri di distanza, un capo di Stato che confida ai suoi intimi le strategie di governo.

È questo il lavoro della NSA: ascoltare e registrare miliardi d’informazioni in ogni momento. Ed essendo le informazioni la moneta più preziosa al mondo, sapere in anticipo cosa pensano i tuoi competitor vale qualsiasi prezzo per uno Stato che ha interessi diffusi in tutto il mondo. E si fa di tutto, compreso intercettare gli amici. Quali amici poi? Uno Stato non ha amici, solo concorrenti.

L’unico accordo segreto degli Stati Uniti per non spiarsi reciprocamente, è stato siglato soltanto con altri quattro partner, conosciuti come il “Five Eyes Group”, di cui oltre agli States fanno parte: Regno Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda. L’accordo in origine si chiamava UKUSA, fu sottoscritto già nel 1947 e, tra le altre cose, comprendeva anche l’installazione di stazioni di ascolto in ciascuno dei Paesi contraenti, che in seguito si sarebbero chiamate ECHELON.

Raggiunto il livello di ampiezza del quale oggi siamo tutti a conoscenza (anche grazie alle rivelazioni di Snowden) non c’è da stupirsi che sia divenuto lo strumento principe dell’intelligence USA per la guerra globale al terrorismo. E neanche dobbiamo stupirci se, avendo a disposizione tali apparecchiature, i policy makers americani siano stati sedotti dalla possibilità a portata di mouse di conoscere in tempo reale cosa si dicono Angela Merkel e i colleghi europei al telefono e cosa si scrivono via mail le alte sfere dei ministeri economici, industriali o militari. Perché, in fondo, è nel loro interesse.

Ma torniamo al principio. Come noto, agli inizi di giugno Edward Snowden, la fonte interna all’NSA, fornisce al giornalista britannico Glenn Greenwald i documenti che provano come l’agenzia americana abbia spiato e archiviato milioni di conversazioni telefoniche. Greenwald lavora al quotidiano londinese The Guardian, che pubblica il pezzo e dà il via al gigantesco scandalo. Fin qui è storia nota.

Quel che non è noto è che sin dai tempi della Guerra Fredda, The Guardian era sospettato di avere buoni rapporti con ambienti sovietici e di amplificare in Occidente campagne mediatiche (le più clamorose quella contro gli euro-missili alla fine degli anni Settanta e quella per il disarmo negli anni Ottanta) orchestrate dalla direzione A del primo direttorato principale del KGB, il servizio segreto russo di cui faceva parte anche Vladimir Putin. E nei salotti dell’intelligence occidentali, il giornale era additato come vero e proprio terminale infiltrato dai sovietici.

La direzione A del KGB si occupava della disinformazione e, attraverso giornalisti e giornali occidentali, attivava campagne di manipolazione delle opinioni pubbliche europee e americane. In Italia, per dire, anche Paese Sera era considerato uno di questi canali (in proposito, si veda il dossier Mitrokhin). Il Guardian lo sarebbe stato per l’Inghilterra. Se questi sospetti fossero fondati, allora sarebbe possibile ipotizzare che la redazione del Guardian abbia mantenuto aperto quel canale anche con i successori del KGB, ovvero l’SVR e l’FSB.

A questo punto, entriamo nel mondo degli specchi dello spionaggio e del controspionaggio: i russi, venuti direttamente in contatto sia con Greenwald che con Edward Snowden – forse a Ginevra, dove Snowden ha lavorato per il governo USA – avrebbero garantito copertura e protezione in cambio delle preziose informazioni. Quindi, avrebbero avviato una campagna stampa, che è verosimile possa durare ancora nel tempo.

Infatti, nonostante il Guardian sia stato costretto dalle autorità britanniche a distruggere gli hard disk dove erano contenuti i file segreti, le notizie continuano ancora a uscire in un’escalation che promette nuovi sviluppi. Le Monde, Der Spiegel, New York Times, Pro Publica sono solo alcune delle testate che si sono aggiudicate – non è chiaro attraverso quali canali – i più recenti scoop.

E già s’intravede l’inizio di una forma di risposta filo-americana al Datagate: da pochi giorni circola la notizia secondo cui i russi avrebbero spiato a loro volta tutti i leader, europei e non solo, al G20 di San Pietroburgo. Forse, l’inizio di un nuovo capitolo di una guerra tra spie a colpi di disinformazione. Obiettivo? L’Europa e il suo inestimabile mercato”.