“Non fidatevi del debito Usa”. Allarme “fusione” dell’economia

Pubblicato il 18 Aprile 2011 - 16:42 OLTRE 6 MESI FA

Foto Ap/ Lapresse

ROMA – Dell’America, della sua capacità di pagare i suoi debiti non ci si può più fidare al cento per cento. Troppi i debiti e poca la volontà e la capacità politica di fare quel che va fatto per tagliarne l’entità e pagarne le cedole. E’ un secchio di acqua gelata gettato sulla schiena del mondo, brividi già percorrono le Borse ma arriveranno presto a gelare il sangue dei governi e a glacificare i portafogli privati. E’ una notizia che sorprende e stupisce, che davvero sospende per un momento il respiro e apre la mente alla peggiore immaginazione. Ma, quel che è peggio, è che si tratta di una notizia ovvia, già scritta nelle cifre e nei numeri di cui tutti dispongono. Una notizia tenuta nascosta e coperta da una voluta inconsapevolezza di massa, da un mondo intero, da intere opinioni pubbliche, Stati e governi che ostinatamente si sono fin qui rifiutati di sapere.

La notizia assume la forma di un “avviso” di un’agenzia di rating, quelle che stimano i rischi connessi a qualunque investimento sui mercati internazionali. Standard & Poor’s stima e fa sapere che inaffidabile nel prossimo futuro non è l’economia americana, che resta grande per dimensioni e vitale nei movimenti. Inaffidabile per il prossimo futuro è il bilancio pubblico degli Usa. Nel linguaggio delle agenzie di rating questo è espresso con la conferma della Tripla A appunto all’economia americana ma nel declassamento “da stabile a negativo” della capacità di contenere e risanare il debito. Debito pubblico americano che si è dilatato, è diventato obeso e ipertrofica perchè e da quando la mano pubblica, le casse pubbliche hanno garantito e inglobato l’enorme e insolvibile debito delle banche, degli istituti di credito e delle società finanziarie. Per impedire che le banche fallissero e con loro anche i singoli cittadini che nelle banche hanno depositi, il governo degli Usa ha trasformato in pubblico il debito privato. Ma ora,a circa tre anni di distanza dall’esordio della grande crisi finanziaria, il governo e la politica hanno perso le redini della società e dell’economia. Se “asciugano” drasticamente il debito, se tolgono la coprtura e la garanzia, come vogliono i repubblicani americani, allora non solo si ferma la modesta ripresa economica che pure c’è. Succede di più, molto di più: gli Usa vanno a conoscere i fallimenti di società e famiglie, aziende e individui. Se al contrario si mantiene la garanzia e la relativa spesa pubblica, il rischio dell’insolvenza si fa reale. Sulla possibilità che la politica americana ce la faccia a trovare accordo, intesa e soluzione Standard & Poor’s non scommette più e invita a non più scommettere.

Tremilaseicento sono i miliardi di dollari che nel sistema bancario e finanziario mondiale “ballano” come crediti a rischio. Qualcosa di enorme, di quasi incalcolabile anche senza calcolare i miliardi e miliardi di euro di “debito sovrano”, cioè dei singoli Stati. L’Irlanda è stata mandata in bancarotta dalle sue banche, Gregia e Portogallo sono stati mandati in bancarotta dai rispettivi Stati e governi. Ora le due “tempeste” si sommano e si moltiplicano l’una con l’altra. E nessun paese può alzare ripari a misura delle proprie frontiere. Banche inglesi possono essere trascinate a fondo da quelle irlandesi, banche tedesche possono essere annegate dall’insolvenza delle finanze greche. E adesso gli Usa. Non sono certo nella situazione del Portogallo, dell’Irlanda o della Grecia, sono ancora il primo motore economico del mondo. Ma sono gli Usa i maggiori debitori del mondo e nel mondo si insinua il dubbio non ce la facciano a pagare. Chiamata in causa è la Cina che detiene gran parte del debito Usa e che rischia di essere la “prima fabbrica del mondo” che però produce merci da vendere al “grande debitore”. Scossa è l’Europa dove i “debiti sovrani” andranno ridotti più in fretta del previsto e dove non sembra esserci nessun governo attrezzato a dire alle rispettive pubbliche opinioni l’indicibile e cioè la verità.

La verità di un sistema socio economico che sul debito si è retto e che gli elettorati considerano un diritto acquisito. Non è solo la politica americana ad essere “dannata” da un’agenzia di rating, è tutta la politica che viene svelata come in pauroso deficit di responsabilità e coraggio. Possono saltare banche ma anche governi e anche consolidate paci sociali. Maledetta agenzia di rating: forte sarà la tentazione di rompere lo specchio in cui Standard & Poor’s obbliga a guardare noi stessi. Specchio forse deformante e deformato. Ma pur sempre specchio in cui non vogliamo guardare perché scopriremmo, con rabbia e con panico, che ciò che credevamo eterno e sicuro, la coesistenza all’infinito e l’invulnerabità del debito, è invece una pietra al collo. Per ora sappiamo, dovremmo finalmente sapere che è tempo di tagliare la catena che ci lega alla pietra. In fretta e anchea  costo di insaguinarci le dita. Si è ancora in tempo, purché non si sprechi il tempo a resistere, rinviare, raccontarsi che la campana non suona e comunque non suona per noi.