Delbono vuole patteggiare e scrive a Bologna: “Scusate, non sono una mela marcia”

Pubblicato il 3 Dicembre 2010 - 20:42 OLTRE 6 MESI FA

Flavio Delbono

L’ultima volta che aveva parlato ai bolognesi dimettendosi da sindaco, aveva difeso la scelta di andarsene dicendo: ”Bologna per me viene prima di tutto”. Undici mesi dopo, Flavio Delbono rompe il silenzio nel giorno in cui chiede il patteggiamento per il primo filone del cosiddetto Cinzia-gate. E lo fa con una lettera in cui chiede scusa alla città per gli errori commessi, ma poi attacca: ”Non sono la mela marcia della politica locale”. E soprattutto, ”non ho mai preso mazzette”.

E’ un Delbono loquacissimo quello che ha scelto di scrivere alla città, chiedendo poi ai suoi difensori di distribuire la lettera ai cronisti al termine dell’udienza preliminare. Un’udienza rinviata al 31 gennaio, quando il gup Bruno Perla deciderà se accogliere l’accordo di patteggiamento raggiunto tra la difesa e il pm Morena Plazzi, per una condanna a un anno, sette mesi e dieci giorni.

L’accordo tiene conto della diminuente del rito, delle attenuanti generiche, del danno risarcito (complessivamente oltre 46 mila euro) e delle dimissioni da sindaco. Secondo l’accusa, Delbono avrebbe usato denaro pubblico per una decina di viaggi fatti quando era vicepresidente della Regione Emilia-Romagna e spacciati come trasferte istituzionali. Sua compagna di viaggio, la fidanzata e segretaria di allora Cinzia Cracchi. La stessa che, ‘cacciata’ dalla Regione, con le sue dichiarazioni lo portò alle dimissioni. Che oggi taglia corto sul perdono: ”Bastava che si comportasse come una persona perbene”.

Ma a parte i due ”errori imperdonabili” citati nella lettera (”Ho mischiato per un periodo la mia attivita’ pubblica con la mia sfera privata; e non ho compreso in tempo il cinico opportunismo di chi era parte di quella sfera”), l’ex sindaco chiarisce: ”Dei miei errori, per i quali chiedo scusa alla città, ho pagato il prezzo politico dimettendomi a febbraio; ho pagato il prezzo economico risarcendo la Regione, danno di immagine incluso; pago il conto con la giustizia patteggiando una condanna”. Una scelta, quest’ultima, che per Delbono equivale a un’ammissione di colpevolezza ”solo in parte”. Ma che e’ condizionata dal rischio che ”i tempi lunghi dell’iter giudiziario possano ulteriormente compromettere la mia fisionomia professionale”. Cioè la sua cattedra all’Università che il prof manterrebbe anche se il giudice accogliesse il patteggiamento: la pena, essendo inferiore ai tre anni, non comporta l’interdizione dai pubblici uffici.

Il rischio resta però per gli altri filoni dell’inchiesta per cui è accusato di corruzione per i suoi rapporti con alcuni imprenditori locali e con Mirko Divani, suo amico e intestatario del bancomat affidato per anni a Cinzia per le sue spese. Ma Delbono non ci sta a passare per corrotto e ai suoi elettori ricorda: ”Non avete votato e sostenuto un bandito o un corrotto, ma un uomo che ha cercato di operare al meglio nel governo locale, senza timori reverenziali nei confronti dei piccoli e grandi poteri”. E conclude: ”Non evoco complotti, ne’ mi propongo come vittima; voglio solo segnalare coma la mia vicenda e la mia persona siano state oggetto di un vero e proprio massacro”. Il Comune di Bologna non si costituira’ parte civile. ”Non credo siano cose da commissario, queste sono scelte politiche”, ha spiegato Anna Maria Cancellieri, che guida la citta’ dalle dimissioni di Delbono, il ”sindaco breve”.