Egitto, Obama: “Siamo preoccupati. Violenza e censura non sono la risposta”

Pubblicato il 28 Gennaio 2011 - 09:36 OLTRE 6 MESI FA

Barack Obama

ROMA – Cresce la preoccupazione dell’amministrazione americana per quanto sta succedendo in Egitto, per anni fulcro della politica mediorientale Usa e che da Washington riceve ogni anno 1,3 miliardi di dollari di aiuti militari: ieri, 27 gennaio, è intervenuto direttamente Barack Obama che ha chiesto la fine delle violenze ma ha anche ricordato come abbia più volte sollecitato il presidente Hosni Mubarak ad attuare riforme politiche ed economiche sottolineando come le autorità egiziane non devono perdere l’occasione di aprire alle riforme.

”La violenza non è la risposta”, ha detto Obama attraverso un’intervista su YouTube. Ed ha subito aggiunto: bisogna che l’Egitto faccia ”progressi nel campo delle riforme, sia quelle politiche e quelle economiche”, perché ”questo è assolutamente cruciale per il benessere a lungo termine dell’Egitto”. ”E voi potete vedere nelle strade queste frustrazioni accumulate da molto tempo”, ha aggiunto Obama battendo ancora una volta sul tasto ”del rispetto dei diritti umani in Egitto , come la libertà di espressione”.

Nei giorni scorsi aveva sorpreso il tono di una dichiarazione del segretario di Stato, Hillary Clinton, che aveva definito il governo del Cairo ”stabile”. Parole che hanno provocato la dura reazione di Mohammed Mustafa El Baradei, ex direttore dell’Aiea e oggi uno dei leader di una delle formazioni dell’opposizione.

”Sono rimasto allibito e sconcertato dalle parole di Hillary Clinton”, ha detto El Baradei poco prima di fare rientro oggi in Egitto. ”Che cosa intendeva la Clinton con stabile, e a quale prezzo? E’ la stabilità di 29 anni di leggi d’emergenza, un presidente con un potere imperiale per 30 anni, un Parlamento che è quasi una beffa, una magistratura che non è indipendente? E’ questo che chiama stabilità? Sono sicuro di no. E spero che non sia lo standard che Clinton applica ad altri Paesi”, ha aggiunto seccamente.

Sono parole che con tutta probabilità sono state lette con attenzione a Washington dove forse con un po’ di ritardo si sono accorti della gravità della situazione e di quanto profondo sia il malessere degli egiziani. Certo l’anziano e moderato presidente Mubarak non è un personaggio che si butta alle ortiche con facilità, rappresentando in Medio Oriente – pur con tutti i limiti della sua gestione del potere lontana dagli standard democratici – un interlocutore di provata affidabilità per l’Occidente. Per questo l’amministrazione Obama sta usando grande prudenza, come dimostrano le parole del vice-consigliere per la sicurezza nazionale Denis McDonough: le proteste in Egitto offrono al presidente Hosni Mubarak una ”grande opportunità per attuare alcune riforme politiche, comprese quelle legate alla libertà di espressione”, ha detto in sintonia con quanto sta ripetendo da giorni la Clinton.

Ieri il segretario di Stato aveva ricordato che gli Usa ”sostengono i diritti universali del popolo egiziano, come la libertà di espressione e di raduno, ed esortano le autorità egiziane a non impedire le manifestazioni pacifiche e a non bloccare le comunicazioni, particolarmente quelle sui siti sociali”.

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