Elezioni/ Da oggi siamo tutti più leghisti. Crescono i voti a Bossi in Emilia, Umbria, Lazio, Marche, Toscana. La “Padania”, la terra dove ognuno fa e pensa a sè, smette di essere slogan e territorio e si fa cultura nazionale.

Pubblicato il 9 Giugno 2009 - 16:38 OLTRE 6 MESI FA

Da oggi siamo tutti più leghisti. Il dato territoriale, il richiama alla “patria” padana è rimasto, ma ormai è solo tradizione. La Lega, una volta solo ed esclusivamente Lega-Nord, è diventato “leghismo”, un modo di essere e di pensare, una cultura. Cultura della comunità, anzi riconoscimento della comunità come unica fonte di interesse legittimo. Diffidenza e ostilità verso ciò che è fuori e diverso dalla comunità. Adesione immediata e incondizionata all’umore della “gente”. Nostalgia di un mitico tempo che fu e sospetto ostile verso la contemporaneità. Il leghismo ha smesso di essere “padano” ed ha aderito, coltivandolo ed esaltandolo con un carattere nazionale: il familismo comunitario. Perciò la Lega prende voti ovunque.

Il consenso raccolto varca i tradizionali confini celtico-padani segnati dal Po e si insinua nelle regioni “rosse”: Emilia, Toscana, Marche. Ma non solo. Il Carroccio arriva perfino in Umbria, Abruzzo e Lazio, avverando il vaticinio di Bossi che nel lontano ottobre del 1993 (all’inizio dell’avventura politica) annunciò con ardore trepidante e parlata esemplare da “lumbard”: “Roma sarà nostra”. 

Calderoli, che siede sul carro (o Carroccio che dir si voglia) dei vincitori,  ha esultato trionfante: “Il risultato è un record storico per la Lega che supera la percentuale ottenuta nelle Politiche del 1996 e va oltre il raddoppio dei voti rispetto alle precedenti Europee del 2004”.

Il partito del Senatur ha infatti quadruplicato i voti nel Lazio (dallo 0,3% all’1,06%) e in Abruzzo (1,3%, più della Destra di Storace. In Umbria si è accaparrato il 3,6% e nelle Marche  addirittura il 5,5 (più di Rifondazione Comunista). Ma i leghisti hanno recuperato margini di voto anche in Piemonte (15,5%) dove la loro rappresentanza era piuttosto discreta e in Friuli Venezia Giulia (17,4%).  I numeri confermano che  hanno stravinto, invece, nelle già “regioni verdi”: Veneto e Lombardia.

La grande svolta , però, è avvenuta in Emilia, dove la Lega si è imposta  arrivando a conquistare l’11% a Modena, il 13,2 a Reggio, il 14,9% a Parma e il 17 a Piacenza, scalzando la sinistra (ormai non più solo dalle fabbriche).

Un consenso che arriva alla Lega dai ceti e gruppi sociali a minor reddito e sicurezza sociale e anche dal ceto medio. I primi alla ricerca di una protezione, disposti a pagarla anche colpendo la “concorrenza”, economica, etnica, perfino europea. Il secondo attratto dalla “concretezza” leghista, dalla riduzione della politica alla difesa materiale dell’interesse di luogo o di categoria. Quel 10 e passa per cento  livello nazionale che è venti e passa per cento al nord, quasi cinque al centro, non è più protesta, è proposta. Proposta politica di un’Italia che vuole fare per sè e solo per sè e altro senso del fare collettivo non vede. Leghismo appunto, moderna e anche antica cultura italiana, nella confezione del partito di Bossi.