Fini ha spento la luce a Berlusconi. E alle elezioni giocherà a destra. E’ crisi, fantasmi il governo Tremonti e quello tecnico

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 8 Novembre 2010 - 15:07 OLTRE 6 MESI FA

Fini alla prima convention di Futuro e Libertà

Gianfranco Fini non ha staccato la spina, ha spento la luce. E ora, al buio di una maggioranza parlamentare che non ha più e con in mano un governo che non è più altro che un mozzicone di candela, la questione è solo in quale angolo sbatterà, in quale mobile, tavolo o poltrona Berlusconi inciamperà. La legge di stabilità economica, quella che fino a ieri si chiamava finanziaria? Il decreto sviluppo, cioè i sette/dieci miliardi da spendere per università, cassa integrazione e missioni militari all’estero? Il disegno di legge anti corruzione? Lo “scudo” che doveva proteggere il premier dai processi? Il prossimo decreto di attuazione del federalismo? Lo sciopero fiscale minacciato dal governatore Zaia e dagli imprenditori veneti? L’io non c’ero e se c’ero dormivo del ministro dei Beni Culturali Bondi sulla vergogna di Pompei? Il progetto-prospetto “Italia 2020” che Tremonti deve presentare all’Europa tracciando e impegnandosi sui connotati finanziari del Paese nei prossimi anni? Il ritiro dal governo della “delegazione” finiana, un ministro e qualche sottosegretario? Uno scatto d’ira politica dello stesso Berlusconi? Lui non si dimetterà certo perché gli è stato chiesto da Fini, ma si dimetterà al primo “incidente” parlamentare. Sarà crisi di governo, è già crisi, mancano solo la data e l’argomento precisi.

E durante, dopo la crisi? L’ultimo “sussurro e grido” che esala e spira dal “Palazzo” è quello di un governo senza Berlusconi premier che Berlusconi lascia e consente si formi. Un governo di “unità nazionale” con dentro il Pdl e la Lega, i finiani e l’Udc e che l’opposizione lascia e consente si formi. Insomma, un governo Tremonti. Se avete un euro da scommettere contro mille su questa ipotesi non fatelo. Bossi non ci starà mai, dovrebbe acconsentire con i suoi voti che questo governo sia molto più “dolce” nei confronti del Sud, dovrebbe raccontare ai suoi che ci si “sacrifica” per la nazione tricolore, dovrebbe segare il ramo di consensi, successi e potere su cui siede. Meglio, molto meglio per Bossi le le elezioni. Meglio ancora l’opposizione, breve e fruttuosa, a qualunque altro governi si formi che non sia quello suo e di Berlusconi. E Berlusconi questo governo di tutti o quasi, tutti ma lui no, non lo sdoganerà mai. Con un governo simile, prima ancora che sconfitto o “pensionato”, si sentirebbe in pericolo, per nulla protetto.

Senza Bossi e Berlusconi, ogni governo possibile finisce per somigliare come una goccia d’acqua al governo “tecnico” chiesto e voluto da Bersani e… In realtà da Bersani e da nessuno. Non lo vuole Di Pietro davvero un governo così, chiamerebbe la sua Idv ad un eccesso di responsabilità. Per quel che oggi conta, poco perché è fuori dal Parlamento, e per quel che domani può contare, molto di più perché vale un 5/6 per cento dell’elettorato potenziale, un governo così non lo vuole neanche Vendola. Dovrebbe appoggiare un governo che certo non può, come ogni altro governo possibile, assumere tutti i precari o riaprire Termini Imerese e il dossier Pomigliano. Non lo vuole il governo tecnico neanche una parte del Pd, quella riunita e mobilitata da Renzi. Non lo vogliono nel Pd i molti che, finora la gran parte in silenzio, pensano sia un suicidio elettorale regalare a Berlusconi e Bossi un anno in cui governa qualcun altro al posto loro, qualcuno che si prende in carico rispetto all’elettorato il peso e la “nominatività” politica di Napoli immondezzaio, del Veneto alluvionato, dell’occupazione che ristagna o peggio arretra.

E non lo vuole un governo così, un governo “tecnico”, neanche quello che ha spento la luce, neanche Gianfranco Fini. Dentro questo governo Fini sarebbe quello che è passato con gli “altri”, quello che ha fatto alleanza con la sinistra. Non se la giocherà così Fini, se la giocherà a destra. Per quel che vale lo intuiscono anche coloro che hanno risposto alle domande del sondaggio di Blitz. Alla domanda su chi sia oggi davvero Fini, il 24 per cento ha risposto: “La nuova destra”. Un altro 22 per cento ha detto che Fini è la “leva”, quello che ha scosso e scalzato un Berlusconi che sembrava inamovibile ed eterno. Un 17 per cento ha detto che Fini è “uno del centro” in formazione con Casini e altri. Tre tipi di giudizi che assegnano tutti un futuro politico a Gianfranco Fini, in totale il 63 per cento. Di contro un 37 per cento di giudizi negativi: traditore per il 17, banderuola per l’otto, chiacchierone senza costrutto per il 12 per cento.

Sondaggio rudimentale ma in assonanza con la logica e con la percezione che Fini sembra avere di se stesso. Logica ed autopercezione che dicono a Fini come il consenso per lui si fa magro e stentato nel recinto del governo e della maggioranza “tecnici” mentre è consistente e suscettibile di crescita se resta a destra, proponendo “l’altra” destra. C’è oggi sul mercato politico e del consenso qualcosa che appena pochi mesi fa non c’era o, se c’era, era represso e invisibile: l’antiberlusconismo di destra. Fatto di stanchezza per l’uomo, i suoi metodi e costumi, fatto di avversione e contrasto al “leghismo” inteso sia come sistema di valori che come priorità di governo. Quanto può valere elettoralmente in Italia una destra delle regole, dell’ordine, della legalità, “tricolore” e non “verde”, innaffiata da un po’ di spesa pubblica e da un po’ di pubblica moralità? Nessuno ha la risposta, certo varrà di più di un Fli alleato del Pd e dell’Idv.

Per cui durante e dopo la crisi “governo Tremonti” e “governo tecnico” svaniranno per assenza e debolezza di sponsor. Resteranno le elezioni, anticipate. Quasi sicuramente a marzo. Fini se le giocherà a destra, andandoci da solo se vedrà plausibile l’otto per cento che gli consentirebbe di superare le soglie di sbarramento della legge elettorale. Oppure in un’alleanza con Casini, capace della doppia cifra, tra il 10 e il 15 per cento, se il “da solo” gli apparirà azzardo troppo grande. L’alleanza tra Pd, Idv e Sel farà tutta insieme 35/37 per cento. Così se la possono giocare, se va loro bene a Berlusconi, Bossi e Storace “resta” una “forchetta” di consensi e voti reali tra il 40 e il 45 per cento. A quota 45 Berlusconi rivince, sotto rischia di non vincerle le elezioni. Partita aperta, anche se con Berlusconi ancora favorito dal pronostico.

In qualunque altro modo, sotto qualunque altro governo, con qualunque altra alleanza di governo ed elettorale, Berlusconi le elezioni le rivince sicuro. Bossi l’ha capito, Fini pure. Si aspetta lo capisca Bersani.