Gaza. Hamas-Israele, pausa negoziale armata. Missili Fajr 5, invasione vicina

Pubblicato il 19 Novembre 2012 - 11:55 OLTRE 6 MESI FA
I missili di Hamas: i Fajr-5 hanno una gittata 5 volte più lunga dei Qassam

ROMA – Mentre a Gaza continuano i raid israeliani, il sud di Israele resta bersaglio di missili lanciati dalla stessa Striscia. Uno stallo armato al sesto giorno, con bilancio di vittime sbilanciato verso i Palestinesi che, con i 13 morti di oggi (19 novembre) ha pagato in totale un altissimo tributo di sangue, 90 morti e 700 feriti. Nonostante il sistema anti-missili solo ieri su Israele sono piovuti altri 100 razzi: in pratica su tutte le città del sud, da Ashdod a Beer Sheva, da Ashqelon a Ofakim ed altre. Attacchi senza tregua con feriti (sette, secondo i media), gente traumatizzata, scuole chiuse e sirene in allarme continue. Della giornata di domenica resta in primo piano la strage di bambini a Gaza City: l’azione che ha colpito la famiglia Al-Dalu ha fatto il giro del mondo.

I quotidiani Haaretz e Maariv scrivono che nelle immediate vicinanze doveva forse trovarsi Ihya Abia, un responsabile del braccio armato di Hamas ritenuto essere il “comandante dei lanci di razzi”. Ieri Israele ha detto di averlo eliminato, mentre poi è sopraggiunta una smentita. Yediot Ahronot, da parte sua, scrive che anche un membro della famiglia (l’ingegnere Sameh al-Dalu) è sospettato da Israele di essere coinvolto nella produzione di razzi. Ma questi non risulta essere fra le vittime tra gli undici cadaveri, per lo più di donne e bambini, estratti dalle macerie del crollo della palazzina colpita.

Il sito Stratfor, agenzia di studi geo-strategici vicina ai servizi Usa, sottolinea come il ritorno del clima di guerra sia entrato in una complicata fase interlocutoria, una specie di pausa armata per lasciar spazio ai negoziati. In effetti, nonostante le dichiarazioni di rito per esempio del commissario Ue Ashton, le prese di posizione inevitabili, l’analisi di Stratfor rileva la sostanziale indifferenza della maggior parte delle potenze solitamente molto più sollecite ad agire come mediatori nella disputa arabo-israeliana. A cominciare dagli Stati Uniti, amico storico di Israele che, accettando senza riserve (Obama ha rivendicato il diritto alla autodifesa consigliando di non andarci con la mano pesante) si preclude un ruolo credibile di terzietà. La Turchia, che con la vicenda della flotilla del maggio 2010 si era avvicinata ai palestinesi, a parte gli scontati accenti retorici non ha mosso un passo diplomatico verso nessuno dei contendenti. I sauditi per ora evitano coinvolgimenti. Gli egiziani sono i più attivi nel cercare di imporre un cessate il fuoco, ma di fatto hanno le mani legate.

Ma lo stallo, la pausa negoziale a cosa serve? Entrambe le parti stanno tirando la corda fino al punto di non spezzarla: quel punto è la minacciata, già preparata invasione di terra delle truppe Israeliane. Il principale obiettivo di Hamas è conservare abbastanza  Fajr-5 che gli permettano di continuare a minacciare il cuore stesso di Israele, il corridoio Tel Aviv-Gerusalemme. Imperativo opposto e speculare per Israele: distruggere o confiscare ad Hamas l’arsenale missilistico. Compito irrealizzabile senza un attacco di guerra: conoscono forse l’ubicazione di qualche missile ma non ne sono certi, per stanarli e disinnescarne la minaccia devono attraversare il confine e setacciare il territorio. Israele ha mobilitato 75 mila riservisti, ammassando truppe sul confine, un numero molto più alto dell’ultima operazione Piombo Fuso a cavallo tra il 2008 e il 2009. D’altra parte, le ultime acquisizioni dell’intelligence riguardano la possibilità di Hamas di assemblare missili a lunga gittata localmente.

Un punto di intesa appare illusorio: quei missili sono una rendita di posizione per Hamas anche per motivi interni (un altro colpo alla già debole Autorità nazionale palestinese), semplicemente Israele non può vivere sotto la loro minaccia (e per Bibi Nethanyau, Hamas è il miglior “alleato” per rivincere le elezioni). Prospettive? Orribili, almeno a dare ascolto alle previsioni pessimistiche di Stratfor: l’invasione di terra è rimandata ma sarà inevitabile. Un test per saggiare le vecchie alleanze e testare i nuovi protagonisti sullo scacchiere mediorientale uscito stravolto dalla varie primavere arabe. Un  test, soprattutto, per l’immediato futuro del conflitto, dove il nemico non porta la kefiah. Come scrive Vittorio Zucconi su Repubblica di oggi, “si scrive Gaza, ma si pronuncia Teheran”.