Iraq, la bufala che scatenò la guerra: confezionata in Italia? Colpe e misteri di Tony Blair

di Sergio Carli
Pubblicato il 15 Luglio 2016 - 06:29 OLTRE 6 MESI FA
Iraq, la bufala che scatenò la guerra, confezionata in Italia? Colpe e misteri di Tony Blair

Iraq, la bufala che scatenò la guerra, confezionata in Italia? Colpe e misteri di Tony Blair (nella foto)

LONDRA – La bufala delle armi di distruzione di massa con cui il presidente americano George Bush ha giustificato l’invasione dell’Iraq nel 2003 è partita o è passata da Roma e ha visto coinvolti due giornalisti italiani, portatori sani del virus.

Non è mai stato chiarito come sia nata, ma le ipotesi sono due, come scrisse a suo tempo sul New Yorker il giornalista Seymour Hersh, considerato uno dei massimi esperti di spionaggio Usa:

1. Un gruppo di agenti della Cia, stanchi delle pressioni di Bush per informazioni “vere” circa le nefaste intenzioni del dittatore Saddam Hussein e stanchi di come Bush li trattava da incapaci, confezionarono il bidone, salvo poi pentirsi amaramente del disastro provocato;

2. Il servizio segreto italiano Sismi, all’epoca guidato da Nicolò Pollari si prestò, auspice Berlusconi, che come Blair moriva dalla voglia di guadagnare punti con gli americani, a mettere in circolazione la bufala.

In entrambi i casi furono coinvolti una giornalista e il direttore di Panorama. Fiutarono l’imbroglio ma il direttore Carlo Rossella, anche lui fedelissimo di Berlusconi, commise l’errore di fare avere le carte all’ambasciata americana a Roma per una verifica di autenticità prima di pubblicarle. L’ambasciata, in perfetto stile burocratese, non controllò nulla ma inoltrò tutto a Washington dove il materiale venne scippato da una struttura di analisi parallela e alternativa alla Cia istituita dal vice presidente Dick Cheney per far arrivare a Bush le notizie come voleva lui.

Se ne è riparlato un po’ in tutto il mondo, a 13 anni dall’inizio della disastrosa seconda guerra del Golfo, con la pubblicazione e a Londra di un devastante rapporto sugli errori o la malafede dell’allora primo ministro Tony Blair e dei servizi segreti inglesi. Fu infatti Blair a mettere nel ventilatore la polpetta avvelenata, con un suo discorso in Parlamento che poi Bush riprese pari pari e il vice presidente americano Dick Cheney, vera anima nera del Governo Usa e della guerra accreditò come verità rivelata mettendo in moto l’invasione.

Alla base di tutto ci fu una notizia, data per certa è mai verificata, che l’Iraq di Saddam Hussein stava facendo incetta di uranio per produrre bombe atomiche su scala industriale. La Cia, il servizio di spionaggio americano, l’aveva controllata e smentita, ma tant’è Bush e Cheney la guerra la volevano a tutti i costi e così fu.

Iraq, le colpe di Blair e i misteri della guerra: conflitto fra servizi, interessi nascosti… C’era un conflitto fra servizi segreti, la contrarietà dei militari e una serie di motivazioni mai rese note dietro alla decisione di Tony Blair di mettere la Gran Bretagna al servizio degli Usa di George W. Bush nell’avventura disastrosa in Iraq nel 2003. Disastro che ha prodotto:

1) una guerra mai finita

2) la destabilizzazione completa della regione

3) il moltiplicarsi degli attentati terroristici in Occidente

4) la nascita dell’Isis.

La questione torna d’attualità perché la commissione d’inchiesta sulla guerra in Iraq, presieduta dal deputato John Chilcot, ha concluso che l’entrata in guerra decisa da Blair, costata la morte di 200 britannici di cui 179 militari, era ingiustificata, che il premier non disse la verità all’opinione pubblica britannica, che le opzioni alternative alla guerra furono ignorate così come gli allarmi su eventuali attentati di Al Qaeda, e che non vennero fatti piani per il dopoguerra in Iraq. Insomma per Blair, che continua a difendere le sue scelte, una “condanna” non penale ma politica. Qui: la sintesi completa del rapporto Chilcot sull’invasione dell’Iraq. Scrive Bernardo Valli su Repubblica:

“Ci sono voluti 7 anni, 12 volumi, più di 2 milioni e mezzo di parole, quante ne ha scritte Tolstoj in Guerra e Pace (ha calcolato il New York Times), per stabilire, infine, che l’invasione dell’Iraq voluta da Bush Jr, con Tony Blair al suo fianco, era non solo inutile, ma anche disastrosa. La titanica fatica della commissione presieduta, a Londra, da John Chilcot ha condotto a una verità già nota dal 2003, quando cominciò il conflitto. Aveva tuttavia bisogno di una conferma solenne. La quale assomiglia a una sentenza, benché non preveda alcun processo per “crimine di guerra” a carico dell’inquisito Blair, come chiedevano ieri i manifestanti londinesi. La commissione Chilcot non aveva poteri giudiziari”.

Dal rapporto Chilcot viene fuori un conflitto fra il servizio di sicurezza interno (Mi5, omologo del nostro Aisi) e il servizio segreto operativo all’estero (Mi6, omologo del nostro Aise). L’Mi5, con l’allora direttore generale Eliza Manningham Buller, aveva avvertito Blair del rischio di attentati di Al Qaeda sul suolo britannico in risposta a un’eventuale invasione dell’Iraq, mentre l’Mi6 era stato prono alla linea dettata da Blair.

La mancanza totale di un piano per il dopo-Saddam lasciò l’esercito britannico – che doveva controllare la città di Bassora nel sud dell’Iraq – al totale sbaraglio in balia di una rivolta contro gli occupanti che assunse subito proporzioni che gli “strateghi” dell’invasione irachena non avevano per nulla previsto. Costringendo i generali britannici ad un umiliante patto segreto con i guerriglieri di Bassora che avevano causato la morte di tanti soldati di sua Maestà. Sempre Bernardo Valli:

Blair ebbe l’autorizzazione del Parlamento, sia pur strappata con quella che si può chiamare una menzogna. La questione delle responsabilità penali è affiorata sempre ieri per iniziativa dei familiari dei morti. Che furono duecento britannici (di cui centosettantanove militari), quattromila cinquecento americani e più di 140mila iracheni. Limitando il bilancio alla prima fase della guerra.

Ai Comuni, dove non è stato tenero con il suo predecessore alla testa del Labour, Jeremy Corbyn ha chiesto scusa a nome del suo partito per «l’aggressione militare basata su un falso pretesto». E ha parlato di «violazione della legge internazionale», da parte di un primo ministro laburista, che all’epoca era Blair. Il rapporto Chilcot equivale a una condanna politica e morale per quanto riguarda l’inquisito britannico, e in modo indiretto la stessa condanna vale anche per George W. Bush. Del quale, si disse allora che l’obbediente Tony Blair fosse il “barboncino”.

Il risultato della commissione britannica non arriva con tredici anni di ritardo rispetto alla guerra del 2003. Il conflitto è ancora in corso. La mischia nella valle del Tigri e dell’Eufrate ne è la conseguenza. Il detonatore di quel che accade oggi, terrorismo compreso, è stata l’invasione di allora. La situazione era pronta per un’esplosione. È vero. La guerra nell’Afghanistan, occupato dai sovietici, aveva rafforzato il jihadismo di Al Qaeda, irrobustitosi con il decisivo aiuto americano. Nella guerra fredda l’Islam servì agli Stati Uniti come arma contro l’Urss. E il lungo conflitto, durante quasi tutto il decennio degli ottanta, tra l’Iraq di Saddam Hussein, a forte governo sunnita, e l’Iran sciita di Khomeini, aveva risvegliato la tenzone tra le due grandi correnti dell’Islam adesso in aperto confronto.

Nonostante gli avvertimenti insistenti di esperti e diplomatici, la coppia Bush-Blair si è inoltrata nel Medio Oriente incandescente dichiarando di volervi portare la democrazia e al tempo stesso annientare le armi di distruzione di massa, non meglio precisate se chimiche o nucleari, ma delle quali non c’era prova. E che comunque si rivelarono immaginarie. Noi cronisti, a Bagdad, la prima notte dei bombardamenti, indossammo le tute e le maschere che avrebbero dovuto proteggerci dall’iprite e da non so quale altro veleno. Dopo qualche ora ci liberammo di tutto, accorgendoci che tra i tanti pericoli che ci attendevano non c’erano quelli propagandati dagli invasori in arrivo. L’uso dei gas nella sterminata e popolata Bagdad sarebbe equivalso a un auto-olocausto.

La commissione di inchiesta accusa Blair, e di riflesso Bush jr, di non avere approfittato di tutte le opzioni pacifiche a disposizione per arrivare a un disarmo concordato. È un appunto di rilievo perché Blair rivendica il fatto di avere comunque contribuito ad abbattere un dittatore feroce qual era Saddam Hussein. Gli inquirenti, in sostanza, sostengono che restasse uno spazio per trattare con il rais di Bagdad, considerato tra l’altro, quando era in guerra con l’Iran, un alleato obiettivo.

L’irresponsabilità più grave denunciata da John Chilcot è quella dimostrata nella prima fase del dopo guerra, quando gli occidentali Bush e Blair proclamano anzi tempo la vittoria. L’ignoranza è sottolineata più volte. Il saccheggio delle città da parte della popolazione, sia a Bagdad dove c’erano gli americani, sia a Bassora dove c’erano i britannici, toglie ogni fiducia negli invasori stranieri. I quali risultano incapaci di garantire la sicurezza. L’esercito nazionale viene sciolto, ma non disarmato. Il partito Baath, funzionante da Stato, è subito disperso e i suoi dirigenti imprigionati e privati dei loro beni. Giusta punizione ma il paese resta senza un’amministrazione.

I militari sunniti si danno alla macchia con ufficiali e cannoni, presto raggiunti dai jihadisti provenienti da tutti i paesi arabi. I saddamisti laici si alleano con i salafiti. Gli americani e gli inglesi hanno offerto un campo di battaglia su cui affrontarli. Le milizie sciite, emerse dopo una lunga sottomissione alla minoranza sunnita, sfidano spesso gli occupanti. Che non considerano liberatori perché hanno cacciato il dittatore che li opprimeva, ma invasori.

L’impatto dell’intervento occidentale sgretola i fragili confini disegnati sulle rovine dell’impero ottomano alla fine della Grande Guerra. Nel 1918. I paesi del Medio Oriente si decompongono. Prima l’Iraq poi la Siria. Nel frattempo le primavere arabe mettono in crisi i regimi dei rais che funzionavano da gendarmi. L’intervento americano con l’appoggio britannico spezza gli equilibri regionali. Il rapporto Chilcot, nei suoi dodici volumi, non è soltanto un atto d’accusa sul piano politico e morale, ma l’analisi sul come si è giunti al conflitto medio orientale di oggi. Bush jr e l’amico Blair hanno ignorato la Storia.

Repubblica, nel giorno seguente alla pubblicazione delle conclusioni del rapporto Chilcot, aveva dato spazio anche al piccato commento del famoso giornalista del Financial Times John Lloyd, convinto sostenitore del governo Blair e dell’invasione dell’Iraq:

L’estrema sinistra britannica, dentro e fuori dal Partito Laburista, non è abituata al successo, ma in qualcosa lo ha ottenuto: ha rovinato una volta per tutte la reputazione di Tony Blair, primo ministro laburista dal 1997 al 2007. Tutti i risultati positivi che ha conseguito — ha vinto tre elezioni consecutive, è stato a capo di un’economia in rapido sviluppo, ha posto fine alla campagna terroristica dell’Ira in Irlanda del nord, ha introdotto una sfilza di riforme liberal — ora sono stati spazzati via da un unico capo d’accusa: Blair ha coinvolto il Regno Unito nell’invasione dell’Iraq. Ieri Jeremy Corbyn, capo dell’ala di estrema sinistra del partito, ha goduto di un raro momento di trionfo: alla Camera dei Comuni ha definito l’invasione americana e britannica del 2003 «una catastrofe », responsabile sotto tutti i punti di vista della guerra civile, dell’impennata del terrorismo e della morte di centinaia di migliaia di persone. Corbyn aveva votato contro l’invasione: tra allora e adesso, Corbyn e i suoi colleghi di sinistra hanno fatto sì che il Labour e il paese non dimenticassero mai la “guerra di Blair”. Mentre Corbyn parlava, così pure faceva Tony Blair. L’ex primo ministro ha espresso «dispiacere, rammarico e scuse ». Questo cambierà ben poco le cose. Egli è e resterà per sempre “Blair dell’Iraq”, come “Lawrence d’Arabia”.