Islanda alle urne per referendum sui rimborsi a Londra e L’Aja

Pubblicato il 6 Marzo 2010 - 12:25 OLTRE 6 MESI FA

Le operazioni di voto, cominciate alle 9 prosegono fino alle 22 di oggi 6 marzo

In islanda si sono aperte le urne per il referendum sui rimborsi a Londra e L’Aja delle perdite causate ai risparmiatori di Gran Bretagna e Olanda dal fallimento della banca islandese Icesave.

A indire la consultazione popolare è stato, lo scorso gennaio, il presidente della Repubblica, Olafur Ragnar Grimsson, in seguito alle proteste con cui la popolazione ha accolto il varo, da parte del Parlamento di Reykjavik, della legge con la quale l’Islanda si impegnava a restituire, da qui al 2014, 3,9 miliardi di euro anticipati dalle autorità inglesi e olandesi ai circa 300.000 loro cittadini clienti della Icesave.

Le previsioni danno il “no” in netto vantaggio. Davanti a questa prospettiva il governo sta facendo di tutto per disinnescare una potenziale bomba a orologeria, evidenziando, da un lato, che il referendum non ha senso, poichè inglesi e olandesi sono già disposti a trovare un accordo meno oneroso per l’Islanda. E dall’altro assicurando, come ha ribadito ieri il ministro delle Finanze, Steingrimur Sigfusson, che il Paese «onorerà comunque i suoi impegni».

Ma i rapporti tra Islanda, Ue e Fmi rischiano comunque di subire un brutto colpo. La contrarietà degli islandesi all’accordo oggetto di referendum nasce dalla convinzione di essere vittime di una legge europea – quella che garantisce i depositi bancari – fondamentalmente sbagliata. Le autorità inglesi e olandesi, rimaste per ora con nulla in mano, lamentano il fatto che Reykjavik fino alla vigilia del crack – avvenuto nell’ottobre del 2008 – abbia mentito assicurando fino all’ultimo che la Icesave, sbarcata nel territorio Ue per rastrellare risparmi, non presentava problemi di sorta. E quando hanno visto, invece, il presidente islandese bloccare di fatto l’applicazone della legge che prevedeva il rimborso di quanto anticipato ai clienti della banca islandese fallita, Londra e l’Aja hanno reagito duramente e con preoccupazione.

In termini pratici, l’eventuale vittoria del “no” al referendum rischia di incidere negativamente non solo sul processo di adesione dell’Islanda all’Ue, ma soprattutto sull’erogazione degli aiuti finanziari dell’Fmi e di altri Paesi nordici di cui il Paese ha estremamente bisogno per uscire dalla peggiore crisi della sua storia (nel 2009 il Pil è diminuito del 6,5%).

«Noi comunque non ci dimetteremo», ha detto ieri la premier. «In questi tempi di crisi è nostro dovere restare uniti», ha aggiunto. E nel tentativo di far capire agli islandesi la posta in gioco, il ministro dell’Economia, Gylfi Magnusson, ha aggiunto:«Un eventuale ritardo nell’erogazione del prestito dell’Fmi potrebbe costarci fino al 5% del Pil».