Le Isole Paracel, casus belli fra Cina e Vietnam

Pubblicato il 12 Aprile 2010 - 09:42| Aggiornato il 14 Aprile 2010 OLTRE 6 MESI FA

Le Isole Paracel non dicono probabilmente nulla al lettore italiano. Eppure, questo gruppo di scogli e atolli tra il Vietnam e le Filippine costituisce il casus belli di una tensione mai sopita tra Cina e Vietnam. L’arcipelago si trova al largo del Mar Cinese Meridionale, ed è un insieme di scogliere e rocce che appare, ad un occhio non accorto, privo di alcun valore.

Ma sotto gli scogli, a qualche centinaio di metri di profondità, il suolo rigurgita di petrolio e di gas naturali. Naturale quindi che questo aggregato di pietre sia col tempo divenuto l’oscuro oggetto del desiderio delle nazioni limitrofe. Cina, Taiwan e Vietnam rivendicano tutti diritti sull’arcipelago, mentre Filippine, Malesia e Brunei si accapigliano, con i loro predetti vicini, per le confinanti Isole Spratly. Lo schema è il medesimo: qualche scoglio, nessun abitante, immensi giacimenti inesplorati.

Le isole Paracel sono il tema più delicato nelle relazioni tra il Vietnam e il suo vicino. Non esiste, al cospetto, un dossier più spinoso. Ad Hanoi tutti si trovano d’accordo nel rivendicare i propri diritti territoriali contro la cupidigia del gigante cinese, che occupa dal 1974 l’atollo. Il dossier riesce perfino nel miracolo di far trovare d’accordo il governo locale, guidato dal Partito Comunista, e gli esuli vietnamiti sparsi per il mondo e contestatori del regime. A Houston, dove da decenni vive un enclave di vietnamiti del sud ostili ad Hanoi, suona una pop band chiamata Hoang Sa, il nome vietnamita dell’atollo. Tutti si ritrovano virtualmente uniti sotto la bandiera nazionalista che si oppone alla supremazia cinese.

Le tensioni tra i due paesi, arrivate da tempo ad una fase di stallo, si sono aggravate il mese scorso, dopo che la Cina ha annunciato un piano di sviluppo del turismo nelle isole Paracel. E’ stato senz’altro un inizio infausto per quello che il vocabolario delle istituzioni aveva chiamato l’”anno dell’amicizia”.

La reazioni da parte vietnamita è stata pronta, e prevedibile. Uno rituale ben collaudato prevede infatti che, in queste occasioni, il Ministro degli Esteri denunci la mossa cinese. Però, nel contempo, qualcosa si sta muovendo più in profondità, nelle acque della politica asiatica.

Il Vietnam sta agendo dietro le quinte per spostare la lotta politica su un nuovo piano, seguendo un’inedita strategia. La lotta diplomatica tra Hanoi e Pechino è impari ed è quindi inutile, o comunque svantaggiosa, una contrattazione bilaterale. Quello che il Vietnam sta cercando di fare, e che potrebbe in fondo mutare i contorni della politica dell’Asia del Sud, è trascinare la Cina nel campo di una trattativa multilaterale, facendo sedere Pechino attorno ad un tavolo con i suoi vicini asiatici. In questo modo, il potere contrattuale dei più piccoli paesi confinanti sarebbe moltiplicato rispetto al leviatano Cina.

L’idea è semplice. Mentre il potere di Pechino si espande e si rafforza, le nazioni più piccolo possono sperare di conservare un’influenza solo in una politica multilaterale. Il primo vero test per cambiare lo status quo nel Mar Cinese Meridionale sarà quest’anno, quando il Vietnam assumerà la guida dell’ASEAN, l’Associazione delle Nazioni dell’Asia Sud-Orientale. Prevedibilmente Hanoi sfrutterà l’occasione per tentare di convincere gli altri paesi di unirsi per intavolare negoziazioni territoriali con la Cina.

Il futuro di una parte della politica asiatica passa da questo tentativo del Vietnam. La domanda che dietro si cela non è di poco contro. Riusciranno i paesi del Sud-Est dell’Asia a controbilanciare l’espansionismo commerciale e marittimo della Cina, o Pechino è destinata, come sembra, ad un’ascesa incontrollabile, senza rivali e senza controlli?