Israele, 20mila case per i coloni annunciate poi annullate. Ira di Usa e Anp

di redazione Blitz
Pubblicato il 12 Novembre 2013 - 23:14| Aggiornato il 13 Novembre 2013 OLTRE 6 MESI FA
Israele annuncia 20mila case per i coloni in Cisgiordania. Ira di Usa e Anp

Abu Mazen

TEL AVIV – Poteva essere la goccia in grado di far traboccare il vaso e affossare così i negoziati tra Palestina e Israele, come il presidente Abu Mazen ha infatti minacciato. Ma alla fine Netanyahu fa marcia indietro e annulla i progetti su 20.000 nuovi alloggi per i coloni in Cisgiordania e a Gerusalemme Est che hanno fatto infuriare gli Usa, oltre che l’Autorità nazionale palestinese (Anp).

Convinto che non sia il momento adatto per una frizione con la comunità internazionale, proprio mentre sul tavolo c’è lo spinoso dossier iraniano, il premier israeliano ha deciso di bloccare tutto. Definendo il progetto “un passo senza senso” dal punto di vista “legale e pratico”. E chiarendo subito, in un comunicato, le ragioni della decisione: “L’attenzione della comunità internazionale non deve essere spostata dallo sforzo principale, ovvero quello di prevenire l’Iran dall’ottenere un accordo che le consenta di continuare il suo programma militare nucleare”.

Abu Mazen lo aveva detto chiaramente: poteva considerarsi “finito il processo di pace” se Israele non avesse rivisto i progetti annunciati. E il capo negoziatore palestinese Saeb Erekat, aveva subito evocato la possibilità di rivolgersi all’Onu. Ma è da Washington che giunge, martedì sera, la reazione più pesante: con una secca richiesta di ”spiegazioni”. ”Siano sorpresi e profondamente preoccupati per questo annuncio e cerchiamo spiegazioni dal governo israeliano”, ha detto una portavoce del Dipartimento di Stato.

Parole a cui hanno fatto eco quelle del portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, mentre fonti dell’amministrazione Obama avvertono che gli Stati Uniti ”non riconoscono la legittimità della continua attività” edilizia ”nelle colonie”.

Dall’insieme dei progetti – pianificati dal ministro dell’edilizia israeliano Uri Ariel (del partito ultranazionalista Focolare ebraico) – il premier Benyamin Netanyahu aveva già bloccato una parte politicamente sensibile: quella relativa ai 1.400 alloggi nella zona E-1 che collega Gerusalemme est con la città-colonia di Maale Adumim minacciando di tagliare in due la Cisgiordania.

Un casus belli divampato con fragore già nel 2012, dopo l’ammissione della Palestina come stato non membro dell’Onu: quando Netanyahu, per ritorsione contro la ”mossa unilaterale” dell’Anp, annunciò le costruzioni sul sito. E che già allora suscitò un forte scontro con gli Usa e la comunità internazionale, con la conseguente convocazione degli ambasciatori israeliani in vari Paesi.

Il piano attuale, con un sostegno economico di circa 10 milioni d’euro, secondo il quotidiano liberal ‘Haaretz‘, pur spurgato degli alloggi nella zona E1, conteneva comunque elementi potenzialmente esplosivi: ad esempio – sottolinea il giornale – nell’insediamento Givat Haeitam, a Efrat, oltre la linea del 1967, o sulle colline intorno al blocco di Gush Etzion. Un reticolo di costruzioni che avrebbe comportato secondo il presidente della storica organizzazione pacifista israeliana ‘Peace Now’, Yariv Oppenheimer, ”la distruzione della possibilità di una soluzione dei due Stati” per due popoli. “I colloqui di pace – ha denunciato Oppenheimer – sono ormai solo per la scena”.

Il vicepremier Shalom – esponente del Likud, partito della destra tradizionale che fa capo a Netanyahu – si era al contrario detto stupito del clamore suscitato dalla notizia: ”Una mosca – ha minimizzato – viene adesso trasformata in un elefante”’. Il ministero dell’edilizia ha precisato a sua volta che ”progettazione non equivale necessariamente a realizzazione” e che l’iter in questione sarebbe ”pura routine”.

Facile prevedere invece lo sdegno dei vertici palestinesi a Ramallah. Già lunedì uno dei negoziatori e membro del comitato centrale del Fatah (il partito del presidente Abu Mazen) Muhammad Shtayyeh aveva fustigato l’assenza ”di volontà politica israeliana” accusando Netanyahu di non ”prendere sul serio i negoziati” promossi faticosamente dagli Usa.

Un nuovo scossone, rientrato senza particolari danni, sul percorso negoziale costruito dalla navetta diplomatica del segretario di stato Usa John Kerry, che nel suo ultimo viaggio nella regione, pochi giorni fa, era già parso raggiungere – a giudizio della stampa – il suo punto più basso. Complice anche il braccio di ferro tra Israele e l’alleato americano sull’ipotesi di accordo ai negoziati di Ginevra sul nucleare iraniano (che riprenderanno il 20 novembre). Ipotesi che il governo Netanyahu osteggia apertamente e contro la quale ha avviato una plateale azione di lobby sullo stesso Congresso Usa.