Tra le critiche e il silenzio della comunità internazionale, il dubbio che questa volte Israele abbia toccato il fondo

Pubblicato il 31 Maggio 2010 - 21:35 OLTRE 6 MESI FA

L'imbarcazione turca Mavi Marmara

Israele “ha perso la legittimità all’interno della comunità internazionale” con l’attacco della flottiglia filo-palestinese al largo di Gaza.  Le delicatissima situazione in cui si trova lo stato ebraico si può forse riassumere con le parole del ministro degli esteri della Turchia, Ahmet Davutoglu, intervenuto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu convocato ad hoc.

Gli attivisti filo-paletinesi in viaggio sulla Mavi Marmara uccisi a sangue freddo da un commando israeliano in acque internazionali non hanno potuto lasciare indifferente il mondo. Probabilmente anche perché la scarsità di notizie, fomentata dalla censura di Gerusalemme, ha fatto schizzare i dubbi e i timori di tuti i trentadue Stati che avevano connazionali a bordo delle sei navi della Freedom Flotilla, la flotta della pace.

L’indignazione di Ankara non sorprende, considerato che la nave colpita appartenevead una ong turca, e che almeno nove delle vittime sono sicuramente turche. Il primo ministro Recep Tayyp Erdogan ha subito bollato l’azione militare di Gerusalemme come un “atto di terrorismo di Stato”. La Repubblica di Ataturk ha richiamato il suo ambasciatore a Tel Aviv.

E lo scontro ha fatto vedere il suo lato peggiore. Perché questa volta ad ergersi contro lo Stato ebraico non è più una nazione fondamentalista, come l’Iran di Ahmadinejad, che pure si è infiammato di proteste contro il “nemiuco sionista”  nelle piazze di Teheran.

Questa volta a scontrarsi con Israele è la Turchia, il trait-d’union tra Europa ed Asia, la stessa Turchia portatrice di quell’Islam moderato conquistato con la Rivoluzione dei Giovani Turchi e da sempre difesa, la stessa Turchia che dal 1999 è ufficialmente candidata ad entrare nell Unione Europea.

La risposta del vecchio continente non si è fatta attendere: l’Ue ha chiesto ad Israele di aprire un’inchiesta, la Francia ha definito “sporporzionata” la risposta israeliana, e il ministro degli Esteri Bernard Kouchner, anche lui con un passato in una ong – Medici senza Frontiere – ha detto che “nulla giustifica una violenza del genere”.

Al coro di critiche si sono accodati Germania, Gran Bretagna, Spagna, Grecia, Svezia, Danimarca e Irlanda, che hanno convocato i rispettivi ambasciatori in Israele. Anche l’Italia ha alzato la voce, con il ministro degli Esteri Franco Frattini che ha definito l’uccisione di civili “inaccettabile in senso assoluto, al di là delle motivazioni della flottiglia”. Mentre il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon si è detto “scioccato” dalla vicenda, e ha sollecitato Israele a far luce al più presto sulla giornata.

Questa richiesta è l’unico punto che accomuna gli Stati Uniti al rest0 della Co0munità internazionale.

Barack Obama ha espresso al premier israeliano Benyamin Netanyahu il suo “profondo rammarico” per i morti e la “preoccupazion e” per i feriti. Ma l’incontro che si sarebbe dovuto tenere il primo giugno è saltato. Il capo del governo di Tel Aviv ha lasciato il Canada annnullando la tappa a Washington.

Netanyahu si è detto “rammaricato” per i morti, ma ha rivendicato il diritto dei militari israeliani a quella che ha definito “autodifesa”. Il problema è che le sei imbarcazioni non stavano per attaccare, portavano aiuti umanitari sperando di superare il blocco di Gaza. E si trovavono in acque internazioneali.

Obama sa tutto questo, ma sa anche che in America c’è una lobby ebraica forte e non certo silenziosa. Abraham Foxman, direttore della Anti-Defamation League, (Adl) la più grande e più ricca organizzazione che difende gli ebrei americani da ogni diffamazione, si è schierato a favore dei militari.Ha espresso, anche lui, il suo rammarico per le vittime, ma subito dopo ha pountualizzato che “Israele non aveva altra scelta”, che l’intervento armato sulla flottiglia è stato “una reazione a una chiara provocazione”. La stessa tesi di Netanyahu.

E se dal lato opposto dell’agone della politica Jeremy Ben-Ami, leader di J Street, la lobby progressista punto di riferimento della sinistra ebrea americana, addita la tragedia della flotta dfella pace come “l’opportunità” per la Casa Bianca di far sentire la sua voce  ancor più foprte che in passato, la voce di Obama rimane silenziosa.