ROMA – Sarebbero stati individuati i responsabili dell’omicidio dell’ex premier libanese Rafik Hariri del 14 febbraio del 2005: la magistratura di Beirut ha infatti spiccato quattro mandati di arresto nei confronti di altrettanti membri del movimento sciita libanese Hezbollah. Si tratterebbe di Abdel Majid Ghamlush, Salm Ayyash, Mustafa Badreddin e Hassan Issa.
Il figlio di Haririri, Saad, dalla Francia ha parlato di “un momento storico nella vita del Libano”.
La decisione è stata presa dopo che una delegazione del Tribunale speciale per il Libano (Tsl), incaricato di giudicare i presunti colpevoli dell’omicidio di Hariri, ha consegnato gli atti di accusa al Procuratore generale Seed Mirza.
Le indagini del tribunale speciale sono state per molto tempo al centro del dibattito politico in Libano indirizzandosi da subito su un possibile coinvolgimento del gruppo sciita Hezbollah nella morte di Hariri.
Il movimento sciita e i suoi alleati sono la maggioranza nel nuovo governo libanese, considerato filo-siriano. Contrapposto a Hezbolah c’è il movimento anti-siriano di Saad Hariri “14 marzo”.
La fase finale dell’inchiesta sull’omicidio Hariri si intreccia con un momento cruciale della politica libanese, che cerca di uscire dallo stallo dopo che Hezbollah ha conquistato la maggioranza parlamentare nelle ultime elezioni e dopo cinque mesi di negoziati dal primo ministro e miliardario sunnita Najib Mikati.
Il movimento sciita, presente con 19 ministri nella squadra del nuovo premier, ha chiesto a quest’ultimo di troncare la cooperazione con il Tribunale. La procura ha 30 giorni di tempo per eseguire gli arresti, un arco temporale che si interseca con la scadenza del 13 luglio, data in cui Mikati dovrà presentare il proprio programma al Parlamento altrimenti il governo dovrà dimettersi.
Il governo libanese ha detto che agirà “con responsabilità” rispetto alla questione del Tribunale speciale. Parlando in una conferenza stampa, il premier Miqati ha assicurato che “il governo agirà con responsabilità e seguirà passo passo gli sviluppi che seguiranno alla formalizzazione odierna delle accuse. La nostra lealtà a Hariri – ha detto Miqati – impone di lavorare per il raggiungimento della verità e al tempo stesso per preservare la stabilità del Paese”. “Ricordiamo però che le accuse non sono condanne e che ogni imputato è innocente fino a prova contraria”, ha aggiunto il premier, che ha ricordato: “La pace civile deve essere la priorità su tutto”.