Libia. L’Occidente vuole fare affari, ma non tutto scorre liscio

di Licinio Germini
Pubblicato il 31 Ottobre 2011 - 13:05| Aggiornato il 1 Novembre 2011 OLTRE 6 MESI FA

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TRIPOLI, LIBIA – Ora che la guerra è finita, Muammar Gheddafi è morto e con lui 40 anni di dittatura, bisogna pensare a fare soldi. Aziende occidentali impegnate tra l’altro nei settori della sicurezza, dell’edilizia, e delle infrastrutture stanno sciamando alla ricerca di buoni affari in Libia, un Paese in ginocchio che ha bisogno di tutto ed ha il petrolio per pagarlo. I più fiduciosi di avere un vantaggio competitivo sugli altri sono gli Stati Uniti e i loro alleati Nato, che contano sulla gratitudine del Consiglio Nazionale di Transizione (CNT), il governo libico interinale.

Già una settimana prima della morte di Gheddafi, il 20 ottobre, una delegazione composta da 80 aziende francesi è arrivata a Tripoli per parlare col CNT. E la settimana scorsa il ministro della difesa britannico, Philip Hammond, ha sollecitato le aziende nazionali di ”fare le valige” e recarsi in Libia. ”C’è una sorta di corsa all’oro attualmente”, ha dichiarato al New York Times David Hamod, presidente e ceo della National U.S.-Arab Chamber of Commerce, ”ed europei ed asiatici ci stanno superando, tanto che sono gli stessi libici a chiamarci per spronarci a muoverci perchè non vogliono che restiamo indietro”.

Ma non tutto fila liscio come l’olio. C’è esitazione tra le parti e finora più che agire si è fatto solo un gran parlare. Il CNT, che intende scongiurare la rampante corruzione dell’era di Gheddafi, ha reso chiaro che nessun contratto a lungo termine sarà firmato fino a quando la Libia non avrà un governo eletto dal popolo. E nessuno sa bene quando questo avverrà. Inoltre le città pullulano di armi incustodite e di disoccupati, il che non offre condizioni di sicurezza per aziende e imprenditori. Richiestissime sono invece le aziende specializzate nella sicurezza.

Alcune stanno ancora proteggendo i giornalisti, ma altre sperano di concludere contratti col CNT per ”domare” le sue indisciplinate e riottose forze armate. Funzionari di queste aziende ammettono che la loro attività in Libia non produrrà neppur lontanamente i loro colossali guadagni  in Iraq e Afghanistan, ma seppure i governi europei ed americano hanno stretto i cordoni della borsa, soldi da fare ce ne sono.

Dopo mesi di combattimenti e la sicurezza ancora fragile, la Libia ha bisogno di tutto, come la ricostruzione degli edifici per appartamenti ridotti ad un cumulo di macerie, il controllo delle installazioni petrolifere che si accingono a riprendere ed espandere la produzione, l’addestramento e l’equipaggiamento delle nuove forze armate. Come Francia e Gran Bretagna, anche gli Stati Uniti potrebbero trarre beneficio dall’apprezzamento dei libici per il loro intervento nel por fine alla dittattura e scavalcare la Cina, che non più tardi dello scorso luglio offriva armamenti a Gheddafi.  

Certo, rilevano gli osservatori, i rapporti dell’Occidente col CNT, e ancor più quelli col futuro governo eletto, sono tutti da verificare. Per esempio non sono state accolte bene le dichiarazioni del capo del CNT, Mustafa Abdel-Jalil, che nel festeggiare il successo della rivoluzione ed auspicare un Paese più devoto ai dettami religiosi è sembrato spianare la strada alla poligamia incontrollata, che in Libia è stata una consuetudine limitata e rara per decenni.

Le donne hanno subito reagito negativamente. All’università di Tripoli la studentessa di biologia Awatif Alhiaghi, 24 anni, ha definito le parole di Abdel Jalil ”un notevole passo indietro nel trattamento delle donne”, e ”un segnale minaccioso che la nuova Libia potrebbe significare nuova repressione”.

Nelle ultime ore è poi esplosa la notizia che in Libia sono state trovate armi nucleari, probabilmente quelle cui Gheddafi disse di aver rinunciato nel 2003. A dare l’annuncio è stato il premier dimissionario del CNT Mahmud Jibril alla Tv Al Arabiya. Una dichiarazione che arriva a 24 ore dallo scadere della missione Nato in Libia.

Volendo prendere per vera la notizia del ritrovamento, ci si chiede ora che cosa ci faranno gli ex ribelli con queste armi? Le consegneranno alla Nato? Oppure le utilizzeranno? Magari, come faceva Gheddafi, le lasceranno da una parte, come arma di ricatto? O forse le punteranno sull’Italia, Paese molto vicino (grazie a Berlusconi) a Gheddafi e tra l’altro attualmente in contrasto con la Francia, che in Libia ora la sta facendo da padrone?