Libia, allo studio del governo uno “scudo” per la aziende italiane partecipate dalla Libia

Pubblicato il 1 Marzo 2011 - 09:48 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Uno “scudo” per mettere al riparo dal rischio di manovre finanziarie fraudolente le partecipazioni dello Stato libico in Italia: è quello che starebbe mettendo a punto il governo Berlusconi, secondo quanto scrive oggi, 1° marzo, Carlo Marroni sul Sole-24 Ore.

La misura si aggiungerebbe a quella relativa al congelamento di beni e fondi che fanno capo alla famiglia Gheddafi decisa dall’Onu. Il Comitato sulla sicurezza finanziaria dovrebbe riunirsi a breve per decidere anche su forme di tutela temporanea delle partecipazioni in Italia che fanno capo ad enti statali libici.

Sotto la lente del comitato, di cui fanno parte i ministeri di Esteri, Interni, Giustizia, Bankitalia, Consob, Isvap, Carabinieri, GdF, Dia, Dna e Uif, finirebbero così le partecipazioni in Unicredit (7,5 per cento tra Banca Centrale e il fondo sovrano Lia), Eni (oltre l’1 per cento), Finmeccanica (2 per cento), e altre minori in Olcese e Juventus, e forse anche un pacchetto in Fiat.

In tutto si tratta di azioni per un valore di quattro miliardi di euro, su cui avevano potere di firma alcuni fedelissimi di Gheddafi, tra cui il governatore Omar Farhat Bengdara (che sarebbe passato dalla parte degli insorti) e il presidente Lia Muhammad Layas.

Il ministro degli Esteri Franco Frattini, fautore dell’iniziativa sulle partecipazioni già assunta da Stati Uniti e Gran Bretagna, ha anche rilanciato la proposta dell’omologo tedesco Guido Westerwelle di una moratoria dei pagamenti verso la Libia, in modo da tagliare il flusso di denaro al regime.

Il trattato di amicizia. Nel frattempo Frattini ha confermato che il Trattato d’amicizia del 2008 è sospeso perché si sono realizzate le condizioni di impossibilità previste dalla Convenzione di Vienna (all’articolo 61). “Per ratificare un trattato occorre il Parlamento, per abolirlo occorre il Parlamento, ma per sospenderlo automaticamente il Parlamento verrà informato. Cosa che, ovviamente farò con un atto formale” ha precisato il ministro degli Esteri.

“C’è una convenzione internazionale che da molti anni disciplina il caso in cui un trattato è impossibile da applicare, per circostanze anche temporanee”, ha spiegato “quando non vi è più uno stato, non vi è più un interlocutore che noi riteniamo non ci sia viste le sanzioni appena decise, il trattato è sospeso”.

L’embargo dell’Ue. Intanto l’Unione europea ha deciso di imporre l’embargo non solo sulla vendita di armi alla Libia, ma anche sulla fornitura di tutti gli equipaggiamenti paramilitari che possono essere utilizzati contro manifestanti e ribelli.

Inoltre, rispetto a quanto già stabilito dalle Nazioni Unite nei confronti del Colonnello e del suo entourage, l’Ue ha portato fino a quota 26 sia la lista con i nomi delle persone soggette al divieto di concessione di visto che quella di chi subirà il congelamento dei beni. Si tratta, hanno spiegato fonti comunitarie, di misure ”mirate” prese dall’Ue all’unanimità nei confronti delle persone ritenute responsabili della repressione contro la popolazione. Il processo decisionale, hanno osservato le stesse fonti, ha visto la ”piena partecipazione” dell’Italia.

L’obiettivo dell’iniziativa europea è quello di aumentare la pressione sul regime di Gheddafi per porre fine alle violenze ”senza determinare il collasso del Paese”. Le sanzioni saranno operative entro un paio di giorni, non appena sarà pubblicato sulla ‘Gazzetta Ufficiale’ dell’Ue l’indispensabile regolamento applicativo. Contemporaneamente sarà resa nota la lista completa dei destinatari delle misure restrittive.

Al momento non è  chiaro se e quali saranno le conseguenze sugli asset libici in Italia. A Bruxelles, hanno riferito fonti comunitarie, si sta guardando con ”grande preoccupazione” alla rete di interessi di Gheddafi e del suo entourage. Se necessario, secondo le fonti, l’Ue ”non esiterà” a estendere la lista dei beni congelati anche a delle società, ma sempre con l’accordo dei 27 e in base ai criteri adottati dall’Onu e fatti propri dall’Unione.

L’Ue ha deciso di adottare sanzioni mirate, ha spiegato il commissario europeo per l’energia Guenther Oettinger, perché ”abbiamo ragionevoli motivi” per ritenere che la maggior parte dei giacimenti di gas e petrolio non sia più sotto il controllo di Gheddafi ma dei rivoltosi. E c’è la speranza che le attività estrattive vengano riprese presto.

La situazione in Libia continua comunque a essere al centro dell’attenzione europea. Il presidente francese Nicolas Sarkozy e il premier britannico David Cameron hanno concordato di chiedere al presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, la convocazione di un summit straordinario per adottare ”le necessarie misure” Ue sulla Libia già nei prossimi giorni. Un passo che risponderebbe anche all’esigenza, ripetutamente evidenziata dall’Italia, di dedicare maggiore attenzione al Mediterraneo.

Dal canto suo, da Ginevra l’Alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Catherine Ashton, ha confermato che resta sul tavolo anche la possibilità di istituire una ‘no fly zone’ per impedire a Gheddafi di colpire la popolazione con mezzi aerei. ”Ma essendo prettamente militare, questa opzione – hanno ribadito fonti europee – resta nelle mani del Consiglio di sicurezza dell’Onu”.