Guerra in Libia, dal Nicaragua allo Zimbabwe: il toto-esilio di Gheddafi

Pubblicato il 24 Marzo 2011 - 20:55 OLTRE 6 MESI FA

Muammar Gheddafi

ROMA – Isolato dall’Occidente, non dal mondo intero. Per Muammar Gheddafi, con i primi raid lanciati dalla coalizione di ‘volenterosi’ contro Tripoli e, soprattutto, contro la caserma-bunker di Bab el Aziziya, è scattato il toto-esilio.

Il rais, infatti, ha ancora tanti ‘amici’ in giro per il mondo: in Africa ma anche in Sud e Centro America sono diversi i leader che si sono mostrati solidali con la battaglia del Colonnello criticando duramente, invece, l’intervento militare in Libia.

Lo stesso sottosegretario di stato americano Hillary Clinton ha suggerito, nei giorni scorsi, l’ipotesi dell’esilio affermando che Gheddafi e suoi fedeli stanno cercando ”una via d’uscita” dalla situazione in cui si trovano.

A migliaia di chilometri a Sud, lo Zimbabwe del controverso presidente Robert Mugabe sarebbe già pronto ad accogliere il rais. Alleato storico della Libia, Mugabe sarebbe disposto così a ripagare il sostegno economico fornito dal Colonnello all’ex Rhodesia britannica. Del resto, il capo di Stato africano, ”persona non grata” in Usa e Europa, nei giorni scorsi ha condannato l’attacco alla Libia, definendo dei ”vampiri” gli Stati dell’Occidente, interessati ”solo al petrolio” libico.

Simili critiche sono giunte anche dal presidente dell’Uganda Yoweri Museveni, antico alleato del Colonnello che sostenne il suo colpo di Stato nel 1986. Il rapporto con gli anni si è incrinato, anche se l’Uganda, con SudAfrica, Mali, Mauritania e Congo fa parte di quel comitato dell’Unione Africana che avrebbe dovuto mediare tra lealisti e ribelli e che invece è stato anticipato dai raid occidentali.

Le altre ‘mete’ africane possibili sono Ciad e Sudan, da cui, secondo alcuni, provengono molti dei mercenari arruolati dal rais per la contro-rivoluzione.

Dall’altra parte dell’Oceano, il sandinista Daniel Ortega, presidente del Nicaragua è al fianco di Gheddafi sin dagli anni Ottanta e, nei giorni scorsi, secondo quanto riporta il settimanale ‘Time’, ha affermato di ”essere in contatto telefonico” con il leader libico e ”di avergli offerto la solidarietà del popolo nicaraguense”.

Più discreta la posizione dell’amico venezuelano Hugo Chavez, che ha già smentito di aver dato asilo a uno dei suoi figli, come sostenuto nelle scorse settimane da un governatore locale. La posizione del leader bolivariano sull’attacco in Libia è però chiara. Usa ed Europa ”hanno preso la decisione di scalzare Gheddafi, di approfittare dei disordini popolari per annientarlo e anche ucciderlo, e sopra un mare di sangue impossessarsi del petrolio”, ha denunciato Chavez il 20 marzo scorso.

Ai confini dell’Europa, infine, c’è un altro alleato ‘storico’ di Gheddafi: è Alexandr Lukashenko, presidente della Bielorussia, bersaglio recente delle sanzioni imposte dall’Ue. E proprio nell’ex Repubblica sovietica, solo due anni fa Khamis, il figlio del rais al comando della 32esima brigata, effettuò un addestramento militare. Africa sub-sahariana, Caraibi e Bielorussia, queste le possibili vie di fuga per il leader della Grande Jamahiriya sempre più accerchiato dall’Occidente.