Metternich ammirava Cavour. Ma l’Italia era una “espressione geografica”

Pubblicato il 26 Febbraio 2011 - 00:58 OLTRE 6 MESI FA

Klemens Wenzel Nepomuk Lothar von Metternich-Winneburg-Beilstein, conte e, dal 1813, principe di Metternich-Winneburg è nato a Coblenza il 15 maggio 1773 e è morto a Vienna, l’ 11 giugno 1859: è stato un diplomatico e politico austriaco, dal 1821 cancelliere di Stato.

I moti del 1848 e le ribellioni in Ungheria segnarono la sua fine: movimenti sovversivi a Vienna chiesero la sua rimozione e la ottennero il 18 marzo; Metternich e la sua terza moglie lasciarono il paese. Tornò tre anni dopo e benché non avesse alcun titolo restò consigliere dell’Imperatore Francesco Giuseppe d’Austria. Morì a Vienna l’11 giugno 1859 dopo aver visto l’ultimo schiaffo morale giocato all’Austria nella Battaglia di Magenta.

Metternich fu uno dei padri del realismo politico, o Realpolitik, fautore di una politica dell’equilibrio, nonché un maestro della tecnica e dello stile diplomatico. Al tempo stesso, mise questa sua maestria al servizio di una visione reazionaria.

La visione conservatrice di Metternich riguardo alla natura dello stato influenzò le conclusioni del Congresso di Vienna. Egli credeva che dal momento in cui la gente fosse stata informata delle antiche istituzioni, le rivoluzioni nazionali come quelle in Francia e in Grecia sarebbero state illegittime. Il principio di legittimità giocò un ruolo vitale nella restaurazione degli antichi stati come lo Stato Pontificio in Italia e la resurrezione della monarchia borbonica in Francia sotto Luigi XVIII. Attraverso il decreto di Carlsbad (1819), Metternich introdusse misure che limitavano fortemente il processo liberale, con una politica, ad esempio, di controllo delle attività di professori e studenti, che lui considerava tra i responsabili della diffusione di idee liberali radicali.

A proposito dell’Italia Metternich disse:  “In Europa allo stato attuale esiste un solo vero uomo politico, ma disgraziatamente è contro di noi. È il conte di Cavour”.

Il 2 agosto 1847 Metternich scrisse, in una nota inviata al conte Dietrichstein, la famosa e controversa frase “L’Italia è un’espressione geografica”. Tale frase venne ripresa l’anno successivo dal quotidiano napoletano Il Nazionale, riportandola però in senso dispregiativo: «L’Italia non è che un’espressione geografica»; nel pieno dei moti del ’48 i liberali italiani si appropriarono polemicamente di questa interpretazione utilizzandola in chiave patriottica per risvegliare il sentimento anti-austriaco negli italiani.

Gli storici sono abbastanza concordi nel riconoscere in tale affermazione la constatazione di uno stato di fatto piuttosto che una connotazione negativa: dal punto di vista politico infatti, lo statista austriaco (che concepiva l’Impero asburgico come una confederazione di stati con vario grado di autonomia) vedeva come l’Italia fosse «composta da Stati sovrani, reciprocamente indipendenti» (così proseguiva nel testo della nota), così come lo era la Germania. Più che un arrogante disprezzo nei confronti dell’Italia e di coloro che puntavano alla sua unificazione, a muovere Metternich era il calcolo politico di mantenere divisa la penisola, permettendo al suo paese di esercitare una stretta influenza (diretta e indiretta) sugli stati italiani.