Negoziati israelo-palestinesi. Gli Usa ci credono, malgrado avvio in salita

Pubblicato il 14 Settembre 2010 - 20:07 OLTRE 6 MESI FA

La partenza è in salita, come si sapeva, ma ”la direzione è quella giusta”. E’ questo il messaggio dell’emissario di Barack Obama per il Medio Oriente, George Mitchell, nel giorno d’esordio della seconda tornata dei negoziati diretti israelo-palestinesi, approdati martedì 14 settembre a Sharm el-Sheik, nel Sinai egiziano, dopo l’inaugurazione del 2 settembre a Washington e prima di un’ulteriore sessione in programma mercoledì a Gerusalemme, luogo-simbolo per eccellenza della contesa.

Un colpo di freno al pessimismo che l’amministrazione Usa, artefice del rilancio della trattativa,  ha voluto trasmettere malgrado l’evidenza immediata dei contrasti ancora irrisolti: a cominciare dalla questione del congelamento delle colonie ebraiche nei territori occupati, invocato come una premessa necessaria dall’Autorità nazionale palestinese (Anp), ma tuttora rifiutato dal governo israeliano.

Trasferiti dalla Casa Bianca al Mar Rosso, i negoziati sono di fatto entrati nel vivo. Con una serie di incontri bilaterali, ospitati dal rais egiziano, Hosni Mubarak, e due successivi faccia a faccia (il secondo imprevisto) fra il premier israeliano, Benyamin Netanyahu, e il presidente dell’Anp, Abu Mazen (Mahmud Abbas): entrambi alla presenza del segretario di Stato, Hillary Clinton, oltre che dello stesso Mitchell.

 ”Le parti hanno intavolato un confronto serio”, ha sintetizzato ai giornalisti Mitchell, parlando a nome di tutti in assenza d’una conferenza stampa congiunta che avrebbe inevitabilmente finito per sottolineare i punti di frizione. Da negoziatore consumato, l’inviato americano è rimasto sulle generali. Certificando ”la buona fede” e ”la serietà delle proposte” dei due interlocutori, ma senza toccare nessuno dei temi chiave previsti dall’agenda: i confini di un futuro Stato palestinese, le garanzie di sicurezza chieste da Israele, la sorte dei profughi palestinesi e dei loro discendenti, lo status di Gerusalemme.

Rispondendo a una domanda sulle colonie, Mitchell non ha potuto esimersi dal ripetere quanto detto nei giorni scorsi dal presidente Obama: e cioè che secondo gli Stati Uniti ”avrebbe senso estendere la moratoria” parziale dell’attivita’ edilizia nelle colonie accordata nel novembre 2009 per la sola Cisgiordania (Gerusalemme est esclusa) da Netanyahu – su pressione di Washington – e destinata a scadere il 26 settembre.

Ma ha anche riconosciuto che si tratta di ”un tema politicamente sensibile per Israele”. Poi, tornando a una visione d’insieme, ha assicurato che le parti condividono con gli Usa e la comunita’ internazionale l’impegno per l’obiettivo dei ”due Stati per due popoli” e credono davvero di poter raggiungere un’intesa sui dossier di fondo ”entro un anno”. Gli ostacoli da superare restano tuttavia visibili e numerosi, mentre lo scetticismo continua a dominare gli umori della pubblica opinione da tutte e due le parti della barricata.

Anche a prescindere dalle contestazioni piu’ rumorose del fronte del rifiuto: incarnate su un versante dal movimento dei coloni e sull’altro dalla minaccia armata della galassia radicale raccolta attorno a Hamas, la fazione palestinese al potere a Gaza. All’ordine del giorno permane innanzi tutto il dissidio sulle colonie, a proposito del quale neppure l’ultimo auspicio di Mitchell sembra aver fatto breccia. Israele ”non accetta precondizioni” e ”non prolungherà la moratoria”, ha ribadito stasera Ofir Gendelman, portavoce israeliano in lingua araba, pur confermando la volontà del premier di ”non silurare i negoziati” e di ”trovare una soluzione per andare avanti”.

Soluzione che l’entourage di Netanyahu – leader di una coalizione e di un partito (Likud, destra) per molti versi organici al movimento dei coloni – ha indicato giorni fa in un tacito rallentamento dei permessi edilizi, anche in mancanza del rinnovo della moratoria. Ma che intanto non ha impedito al Comune di Gerusalemme di mettere in calendario l’imminente riavvio dell’iter di un progetto di costruzione di ulteriori 1.000 alloggi al di là  della vecchia linea verde, nella parte orientale (a maggioranza araba) della città. Né a un’impresa edile di annunciare oggi stesso il via libera alle ruspe in un mega-cantiere della vicina città-insediamento di Modiin.