Padre Jalics, torturato durante dittatura: “Riconciliato da tempo con Bergoglio”

Pubblicato il 15 Marzo 2013 - 17:08| Aggiornato il 6 Ottobre 2022 OLTRE 6 MESI FA

BERLINO – Francisco Jalics, uno dei due religiosi arrestati e torturati durante la dittatura argentina di Videla, non prende posizione: “Da tempo mi sono riconciliato con Bergoglio. Per me quella vicenda è conclusa”. E poi, ”non posso prendere alcuna posizione riguardo al ruolo di Jorge Mario Bergoglio”, ha aggiunto riferendosi alle polemiche di questi giorni.

I sacerdoti Orlando Yorio e Francisco Jalics, furono sequestrati nel maggio del 1976 e detenuti per 5 mesi nella Escuela Mecanica de la Armada (Esma), il centro clandestino da cui partivano i voli della morte. Secondo alcune testimonianze raccolte dal giornalista d’inchiesta Horacio Verbitsky – scrive la Bbc – Bergoglio aveva “tolto la protezione ai due sacerdoti che operavano nelle baraccopoli” di Buenos Aires, allontanandoli dai gesuiti ed esponendoli alla scure militare.  Bergoglio nel “2010 fu chiamato a testimoniare sul caso assicurando di aver chiesto ai vertici del regime il rilascio” dei due prelati.

”Sono riconciliato con quegli eventi e per me quella vicenda è conclusa”, dice oggi padre Franz Jalics, nato in Ungheria e residente da anni in Germania. ”Dopo la nostra liberazione – scrive in un comunicato pubblicato sulla pagina jesuiten.org Jalics – ho lasciato l’Argentina. Solo anni dopo abbiamo avuto la possibilità di parlare di quegli avvenimenti con padre Bergoglio, che nel frattempo era stato nominato arcivescovo di Buenos Aires. Dopo quel colloquio abbiamo celebrato insieme una messa pubblica e ci siamo abbracciati solennemente”.

”A papa Francesco – ha concluso Jalics – auguro la ricca benedizione di Dio per il suo ufficio”. Nel comunicato Jalics ha però anche ricostruito l’intera vicenda dell’arresto. ”Vivevo dal 1957 a Buenos Aires”, racconta il religioso e nel 1974, ”con il permesso dell’arcivescovo Aramburu e dell’allora padre provinciale Jorge Mario Bergoglio mi sono trasferito con un confratello in una favela”. Jalics ricorda poi come durante la dittatura ”la giunta militare abbia ucciso in uno, due anni, circa 30mila persone, guerriglieri della sinistra come anche incolpevoli civili. Noi due nella favela non avevamo contatti né con la giunta né con la guerriglia. Per la mancanza di informazioni di allora e per false informazioni fornite appositamente la nostra posizione era stata fraintesa anche nella chiesa.

In quel periodo abbiamo perso il contatto con uno dei nostri collaboratori laici, che si era unito alla guerriglia. Dopo il suo arresto e il suo interrogatorio da parte dei militari della giunta, avvenuto nove mesi piu’ tardi, quest’ultimi hanno appreso che aveva collaborato con noi. Per questo siamo stati arrestati, con la supposizione che anche noi avessimo a che fare con la guerriglia”, si legge nel comunicato.

”Dopo un interrogatorio di cinque giorni, l’ufficiale che aveva condotto l’interrogatorio stesso, si è congedato con queste parole: ‘Padri, voi non avete colpe e mi impegnerò per farvi tornare nei quartieri poveri‘. Nonostante quell’impegno restammo incarcerati, per noi inspiegabilmente, per altri cinque mesi, bendati e con le mani legate”, ha ricordato il religioso. ”A papa Francesco – ha concluso Jalics – auguro la ricca benedizione di Dio per il suo ufficio”.