Sudan. Sempre più grave crisi interetnica, migliaia di morti in una settimana

Pubblicato il 25 Dicembre 2013 - 10:06 OLTRE 6 MESI FA
Combattenti in Sudan

Combattenti in Sudan

USA, NEW YORK – Sembra avvitarsi sempre piu’ la crisi interetnica in Sud Sudan, dove una settimana di scontri tra ribelli e forze governative ha causato la morte di migliaia di persone e decine di migliaia di profughi. L’ex vice presidente Riek Machar, che guida la ribellione, si e’ detto pronto ad accettare il dialogo con il presidente Salva Kiir, ma solo quando i suoi uomini prigionieri delle forze governative verranno rilasciati. Allo stesso tempo, il presidente Kiir ha a sua volta detto di voler avviare il dialogo, ma ha anche fatto sapere di essere pronto a scatenare una grande offensiva dell’esercito per riconquistare le citta’ di Bor e di Bentiu, centro della strategica regione petrolifera del Paese, in mano ai ribelli.

E testimoniando il livello dell’allarme della comunita’ internazionale per il fragile Paese nato solo due anni e mezzo fa, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha informato il Congresso che, anche dalle vacanze alle Hawaii, continua “a monitorare la situazione e – ha affermato in una lettera – potrei prendere ulteriori azioni a sostegno della tutela” degli americani nel Paese, 400 dei quali sono gia’ stati evacuati negli ultimi giorni proprio da Bor, dove il 21 dicembre sono stati dispiegati altri 46 militari americani.

E altri 150 marine sono stati dispiegati a Gibuti, a disposizione per altre eventuali operazioni di emergenza. Anche l’Onu continua a lanciare appelli alla calma: la situazione e’ di ”crescente urgenza”, ha detto il segretario generale Ban Ki-moon, annunciando che chiedera’ al Consiglio di Sicurezza un rafforzamento delle capacita’ di protezione dei civili della missione in Sud Sudan (Unmiss) con truppe addizionali. Si parla di altri 5.000 soldati e 280 agenti di polizia. Il Consiglio ha approvato all’unanimità la richiesta del segretario generale Ban Ki-moon.

In Sud Sudan “civili innocenti vengono presi di mira a causa della loro appartenenza etnica, ha detto il segretario generale dopo il voto del Consiglio di Sicurezza che ha rafforzato dell’80 per cento la missione di pace Unmiss nel Paese africano. “Non c’e’ soluzione militare per questa crisi”, ha detto Ban invitando al dialogo il presidente Kiir (di etnia dinka) e il suo rivale, l’ex vicepresidente Machar (di etnia nuer).

La risoluzione aumenta di 423 il contingente di forze di polizia. Il mandato è sempre quello della protezione dei civili in un Paese in cui le Nazioni Unite hanno stimato in 100 mila gli sfollati, 45mila dei quali in basi Onu. Il totale della missione Unmiss sarà dunque di 12.500 militari e 1.323 poliziotti. “Nulla può giustificare la violenza di questa giovane nazione”, ha detto dopo il voto il segretario generale invitando le parti al dialogo e a una soluzione politica della crisi.

Il responsabile per la regione dell’Unocha, l’agenzia del Palazzo di Vetro per il coordinamento degli aiuti di emergenza, Toby Lanzer, in un comunicato da Juba ha dal canto suo fatto appello ai Paesi donatori perche’ forniscano le risorse necessarie affinche’ l’Onu e le organizzazioni non governative possano inviare personale d’urgenza sul posto. Secondo Lanzer, che ha visitato la base di Bor dove sono rifugiati 17 mila civili, la situazione e’ particolarmente difficile negli stati del Jonglei e di Unite’.

Frattanto, nella capitale Juba e’ arrivato l’inviato americano, ambasciatore Donald Booth, con l’incarico di tentare una mediazione tra il presidente Salva Kiir, che appartiene alla tribu’ Dinka, e l’ex vicepresidente Riek Machar, che appartiene alla tribu’ Nuer. Un difficile compito, anche perche’ il ministro dell’informazione Michael Makuei ha affermato che ”in nessun modo rilasceremo chi e’ accusato di colpo di stato”.