Medio Oriente. La Primavera Araba fermata dai tank dei dittatori

di Licinio Germini
Pubblicato il 18 Marzo 2011 - 13:16 OLTRE 6 MESI FA

Blindati sauditi entrano nel Bahrain

MANAMA, BAHRAIN – A Manama, capitale del Bahrain, Muhammad al-Maskati, è prigioniero in casa, il suo Blackberry neutralizzato dal governo, le strade di fuori invase dai carri armati, gli ospedali del circondario strapieni di feriti.

Ventiquattro anni, membro di una ricca famiglia sciita, Maskati è un attivista per i diritti umani convinto che in Bahrain si potesse ottenere quanto accaduto prima in Tunisia e poi in Egitto, la caduta dei tiranni tramite rivoluzioni pacifiche. Poi sono arrivati i carri armati sauditi e i dimosranti sono stati investiti dalla dura repressione governativa.

”Pensavamo che la non violenza funzionasse”, ha dichiarato Maskati al New York Times, ”ma ci siamo illusi. Ora l’aggressione contro di noi è troppo forte, e non è più questione di proteste ma di autodifesa”.

La Primavera Araba non è necessariamente finita, ma si è scontrata con dittatori disposti ad usare forza letale per conservare il loro potere. Il movimento democratico giovanile si è arenato dapprima in Libia, dove il colonnello Muammar Gheddafi ha dichiarato guerra al suo popolo e se l’Occidente non si muove finalmente con i bombardamenti aerei – ma i tempi stringono – continuerà a compiere massacri.

Poi è stata la volta del Bahrain, dove il re Hamad bin Isa al-Khalifa, la cui famiglia regna da due secoli, si è rivolto al vicino saudita per reprimere le manifestazioni di protesta. Venerdi le truppe del presidente Ali Abdullah Saleh hanno sparato sui dimostranti uccidendo almeno 30 persone.

I movimenti riformisti nel mondo arabo sono stati avviati da giovani liberi dalle paure che avevano immobilizzato i loro genitori, ed in un primo momento sono sembrati una forza inarrestabile, irrobustita dal potere della demografia, considerato che circa il 60 per cento della popolazione nel mondo arabo ha meno di 30 anni.

Il movimento sta ancora riuscendo ad ottenere riforme in Paesi come la Giordania e il Marocco, a guidare le difficili transizioni in Tunisia ed Egitto ed ad essere presente in Algeria e nello Yemen. Questa generazione di giovani ha avuto accesso al mondo esterno e ad una vita senza confini in virtù di internet e di tutte le sue incarnazioni, usandole per mobilitare le proteste, sfuggire alla sorveglianza ed a varcare le barriere di classe.

Al Jazeera ha diffuso le loro azioni tra altre società, accendendo la rabbia contro politiche repressive e stagnazione economica che hanno privato i giovani di opportunità e libertà.

Poi le truppe di Gheddafi hanno cominciato a sparare ed i suoi aerei a bombardare, mentre il re Hamad, che in un primo momento aveva cercato il dialogo con i dimostranti, usava anche lui il pugno di ferro. L’idealismo dei giovani attivisti si è scontrato con l’amara realtà della repressione, lasciandoli scoraggiati seppure ancora risoluti.

Nondimeno, il futuro della Primavera Araba è in pericolo. Dice Maskati: ”Non credo che le proteste pacifiche continueranno, ora la gente deve resistere alle aggressioni”. E prosegue: ”Molto dipenderà da come andrà a finire in Libia, da cosa otterrà il vergognosamente tardivo intervento occidentale e da fino a che punto Gheddafi potrà proclamare vittoria”.

La Primavera Araba continua timidamente a fiorire, ma tra molte difficoltà, in Giordania, dove però il re Abdullah II non ha a che fare con il tipo di rivolte che hanno cacciato i presidenti di Tunisia ed Egitto. Eppure anche lì ci sono state dimostrazioni che hanno indotto il sovrano a licenziare il suo intero gabinetto governativo, creare un nuovo governo e promettere cambiamenti costituzionali.

In Marocco la protesta è guidata da Montasser Drissi, 19 anni, che ha contribuito ad organizzare la manifestazione nazionale del 20 febbraio che ha già cominciato a cambiare il panorama politico. ”Il nostro obiettivo – dice – è avere una costituzione al servizio del popolo e non dell’elite. Non vogliamo rovesciare la monarchia, ma ridurre la sua autorità assoluta e rafforzare le istituzioni elettive”. Il re Mohammed VI a quanto pare ha ricevuto il messaggio e in un discorso televisivo ha promesso riforme.

Ma in Marocco, come in Tunisia e in Egitto occorrerà vedere quale consistenza avranno queste promesse e se saranno sufficienti per soddisfare le rivendicazioni dei giovani.