Per la Russia ora tornare in Afghanistan è un buon affare: “Sfida economica per rimpiazzare gli occidentali”

Pubblicato il 21 Agosto 2010 - 10:06 OLTRE 6 MESI FA

Fino a poco tempo fa, Cina e Russia auspicavano un fiasco occidentale che togliesse definitivamente dalla testa di americani e Nato ogni illusione egemonica in Asia centrale.

Negli ultimi tempi invece, Mosca e Pechino cominciano a pensare che l’Afghanistan sia un buon affare. Così il China Metallurgical Group ha investito una cifra notevole, 3 miliardi di dollari, nelle miniere di rame a sud di Kabul. E i russi hanno appena discusso con il premier afgano Hamid Karzai, questa settimana in visita a Mosca, progetti di cooperazione economica per un miliardo di dollari.

Se fino a poco tempo fa credere che la pacificazione in Afghanistan avesse significato per i russi una vittoria della Nato e dell’Occidente, oggi Mosca ha a cuore la stabilità del Paese. E i progetti discussi da Karzai e Medvedev rispondono a finiche vanno oltre quelli economici.

La costruzione di una grande diga idroelettrica che rifornirebbe anche il Pakistan, affamato di energia, accrescerebbe il peso di Mosca nella regione. Altri progetti, proseguimento di progetti avviati dai sovietici, avrebbero soprattutto un valore simbolico. Certo non cancellerebbero la sconfitta dell’Armata rossa, un trauma mai superato da larghi settori dell’opinione pubblica russa. Ma la renderebbero più accettabile, in quanto dimostrerebbero che l’invasione ha prodotto anche un lascito positivo, non soltanto morti.

Anche se il comunicato ufficiale non ne parla, una cooperazione russo-afgana non potrebbe escludere quei tesori minerari che Washington ora ostenta come un vistoso incentivo, o come un’esca. Non potrebbe, per il semplice fatto che l’industria mineraria afgana fu un’invenzione sovietica. La sua capitale era Chebergan, nella regione del nord oggi controllata dalle milizie di un figlio di quella città, l’uzbeko Dostum. Attualmente ministro, Dostum fece carriera nell’esercito filo-sovietico. Divenuto generale, tradì e passò ai mujahiddin, determinando la caduta di Kabul. Signore dell’etnia uzbeka, combattè i Taliban.

E alla fine degli anni ’90 compì uno strano viaggio negli Stati Uniti, ospite di uno tra i più prestigiosi pensatoi americani, Carnegie Endowment. Il viaggio si concluse in Texas, epilogo che sembrò confermare le voci secondo le quali Dostum portava con sé le mappe delle prospezioni minerarie compiute dai sovietici. In ogni caso, quelle prospezioni non sono una leggenda, e potrebbero spiegare l’impunità di cui gode tuttora Dostum, malgrado i crimini di guerra contestati anche dall’amministrazione Obama.

Il ritorno dei russi in Afghanistan non sarebbe una novità. Gli ufficiali dell’esercito afgano provengono per il 60 per cento dai ranghi dell’esercito a suo tempo addestrato e indottrinato dai sovietici, e sicuramente non pochi di loro oggi garantiscono un’intelligence di livello all’ambasciatore russo a Kabul, considerato dagli stessi colleghi europei diplomatico tra i più informati.

Inoltre alcuni comandanti dell’Alleanza del nord sono da lustri in buoni rapporti con gli ex nemici – innanzitutto il potente generale Fahim, vicepresidente afgano ed eminenza grigia dello spionaggio nazionale. Dunque non sorprende che Karzai, anche lui un ex mujahid, da anni intrattenga con Mosca relazioni più che distese. Il presidente afgano è un uomo pragmatico, sa bene che negli ultimi 2 secoli la sua patria è stato un frangiflutti tra Russia e Occidente.

Dunque anche da Mosca dipendono le sorti del Paese. A sua volta la Russia oggi ha meno motivi che in passato per temere un pressing americano in quella che considera una sua sfera d’influenza, l’Asia centrale. Gli Stati Uniti avevano fatto irruzione nella regione dopo l’11 settembre, quando, sullo slancio della “guerra al terrorismo”, conclusero accordi militari con le satrapie locali, quasi tutte di filiazione sovietica, e impiantarono basi aeree funzionali alle loro strategie.

Ma presto irritarono i satrapi aiutando l’opposizione, compirono passi falsi, in breve permisero ai russi, e in parte anche ai cinesi, di organizzare la rimonta. Ma a mutare l’atteggiamento russo sembra aver contribuito soprattutto l’andamento della guerra.

Dopo aver temuto che gli americani trionfassero dove l’Armata rossa era stata umiliata, Mosca dev’essersi convinta che quell’esito non è nelle cose. Quest’anno ha permesso ai rifornimenti della Nato di transitare sul territorio russo. E ora potrebbe offrire agli occidentali una collaborazione più ampia ed efficace, se vedesse riconosciuto il proprio ruolo storico e soddisfatti i propri interessi economici.

Nei fatti i russi avrebbero un accesso almeno problematico in gran parte del Paese, dove nessuno ha dimenticato le stragi compiute dai sovietici. Ma in alcune province del nord, soprattutto i territori uzbeki dove si sviluppò l’industria mineraria afgana, la loro riapparizione sarebbe accettata. In quest’ottica gli investimenti russi darebbero uno slancio a pacificare il Paese.