Da San Bernardino (California) a Parma, Comuni sull’orlo di una crisi di debiti

di Antonio Sansonetti
Pubblicato il 3 Agosto 2012 - 11:03| Aggiornato il 24 Gennaio 2013 OLTRE 6 MESI FA
Il palazzo del Comune di San Bernardino, California (Ap-LaPresse)

SAN BERNARDINO, CALIFORNIA – Un miliardo di dollari di debiti sono troppi e San Bernardino non può fare miracoli: deve dichiarare bancarotta. San Bernardino è una città della California, 210 mila abitanti, 96 km a est di Los Angeles. Nel Golden State è la terza città che fallisce in un mese. Un’altra città, dopo Stockton e Mammoth Lakes che è nata e cresciuta ai tempi della corsa all’oro e rischia di morire ai tempi della corsa ai derivati. Come vedremo, però, il pericolo di fallire non lo corrono solo i Comuni della lontana California, ma anche da noi molte amministrazioni sono precipitare nel crac finanziario.

Se Stockton (la più grande città americana a fallire, finora) era stata azzoppata da un deficit di 700 milioni di dollari, San Bernardino aveva una voragine nel bilancio molto minore: 45 milioni di dollari. Ma è stato il maxi-debito accumulato a portare l’amministrazione a non essere più in grado di pagare gli stipendi.

Al sindaco Patrick Morris non è rimasto altro che chiedere l’applicazione del capitolo 9 della legge fallimentare. Capitolo che prevede  un’amministrazione controllata o commissariamento, per proteggere il debitore nel caso di insolvenza. Obiettivo è risanare il bilancio mettere all’asta il patrimonio.

Una città che chieda l’applicazione del capitolo 9 deve dimostrare non essere più in grado avere i soldi per andare avanti nella quotidiana amministrazione, dagli stipendi dei dipendenti alle bollette della luce. Il capitolo 9 dà alla città in bancarotta il tempo di rinegoziare i termini dei debiti contratti in passato, mentre i creditori perdono il diritto di fare causa per ottenere i pagamenti a loro dovuti.

Lo stato di crisi permette al Comune interessato di tagliare stipendi e pensioni dei dipendenti. Il bilancio è sottoposto all’approvazione e alla supervisione di un giudica incaricato da un giudice incaricato dal tribunale federale di riferimento. Fino ad oggi negli Usa sono 42 le amministrazioni che hanno utilizzato il Chapter 9.

Dopo l’approvazione della decisione da parte dal Consiglio comunale di San Bernardino per evitare azioni legali da parte dei creditori, è stata depositata l’istanza in tribunale. “Lo abbiamo dovuto fare per non incorrere in sequestri delle nostre disponibilità liquide”, ha spiegato Morris. Secondo le carte processuali si stima che i creditori siano tra i 10.000 e i 25.000. Il piano fiscale di emergenza di tre mesi – adottato il 24 luglio – prevede la sospensione del pagamento dei debiti e del fondo pensionistico e il congelamento dei posti di lavoro vacanti, in attesa di un documento più dettagliato.

Secondo il procuratore della città James Penman, i funzionari comunali sarebbero colpevoli di aver presentato bilanci falsi per ben 13 degli ultimi 16 anni, nascondendo la reale entità della spesa pubblica. Molte città della California potrebbero seguire la strada di Stockton e San Bernardino. Tutte sperano di imitare Vallejo, altro comune californiano che dichiarò bancarotta nel 2008 e dopo tre anni è riuscita a risanare il bilancio.

Ma cosa succede in Italia se un Comune dichiara bancarotta? Da noi è già successo 445 volte dal 1989 al 2011, su un totale di 8.101 comuni, stando ai dati del ministeri dell’Economia e dell’Interno. Di questi 445, ben 353, il 79%, erano amministrazioni del Sud. Ci sono anche Comuni medio-grandi del Nord come Parma, che si trova sull’orlo del fallimento con 900 milioni di buco. Ma gli esempi più eclatanti sono stati Taranto (2005), Catania (2008), e Roma (2008). Nel capoluogo ionico l’allora sindaco di Forza Italia Rossana Di Bello aveva lasciato – dopo aver assunto e strapagato troppa gente coi soldi pubblici e finanziato eventi costosi quanto discutibili – un deficit di 447 milioni di euro. La città rimase per qualche giorno senza luce, raccolta dei rifiuti, mezzi pubblici e perfino senza servizi cimiteriali. Poi arrivarono 60 milioni dal governo e l’amministrazione si rimise in moto, sotto la guida di un commissario.

A Catania il sindaco e medico di fiducia di Silvio Berlusconi, Umberto Scapagnini, grazie anche alla collaborazione delle giunte precedenti, si svegliò a settembre 2008 con una voragine di 700 milioni di euro. Anche qui una lunga storia di bilanci fasulli, spese pazze e l’ombra dell’allora vicesindaco Raffaele Lombardo che faceva campagna elettorale a colpi di assunzioni. Coi soldi pubblici, chiaramente. Anche Catania si bloccò per qualche giorno. Ma quando la spazzatura nelle strade iniziò a diventare una questione non rinviabile, arrivarono 140 milioni dal governo Berlusconi.

A Roma Gianni Alemanno al momento della sua elezione ereditò dalle passate amministrazioni di centrosinistra un debito che per l’agenzia di rating Standard & Poor’s ammontava a 6,9 miliardi di euro (per Alemanno erano 8,1 ad aprile e 9,7 a dicembre). Il sindaco ex Msi ottenne sempre dal governo Berlusconi il varo di un provvedimento ad hoc, l’articolo 78 del decreto legge 112, che consentì al Comune di Roma di separare il bilancio in due parti, scaricando – stile Alitalia – tutti i debiti su una bad company da risanare con i soldi dello Stato. A patto però di elaborare un piano di rientro, da sottoporre al governo. Il governo Berlusconi diede l’ok. Chissà se in quel piano si parlava anche di assumere per chiamata diretta 2.500 persone – fra le quali nessuno spazzino né autista di autobus – fra Ama e Acea, facendo così di Roma la prima azienda d’Italia, con 62 mila dipendenti.