ROMA – Siria, Cameron: “Il popolo non vuole la guerra, obbedisco”. Hollande tira dritto. La Gran Bretagna non parteciperà all’eventuale attacco alla Siria di Assad, il Parlamento ha negato al premier David Cameron l’autorizzazione a intervenire bocciando la mozione del governo. “Mi è chiaro che il parlamento britannico e il popolo britannico non sono favorevoli ad un’azione. Agirò di conseguenza”: con queste parole Cameron ha accolto lo schiaffo sonoro e imprevisto impartitogli dalla Camera dei Comuni dove un calcolo sbagliato gli ha fatto sottovalutare il numero di franchi tiratori (20 tories e 10 lib-dem) che ha votato con la compatta opposizione laburista.
Calcolo sbagliato che riflette un mutato atteggiamento dell’opinione pubblica rispetto alle guerre anche cosiddette umanitarie a causa del precedente iracheno. All’epoca dell’invasione di Bush Jr. il pretesto per l’intervento militare si basava sul presupposto, rivelatosi falso, che Saddam preparasse armi di distruzione di massa. Stavolta, contro Assad lavora il presunto ricorso ad armi chimiche. Il leader laburista Milliband ha convinto l’aula che per un’altra guerra al fianco degli americani non fossero sufficienti le prove fin qui esibite a carico di Assad, manca “la pistola fumante”. A malincuore, prendendo atto della sconfitta politica, Cameron si è rassegnato a sfilarsi per la prima volta dal 1989 dall’impegno militare al fianco degli Usa, una grave incrinatura della special “relationship”, anche perché la rinuncia inglese ha come primo effetto di rivitalizzare il regime siriano sotto assedio.
Con la conseguenza immediata che, come rileva il Wall Street Journal, gli Usa abbandonano ogni illusoria misura vestita da missione internazionale e preparano il terreno a un attacco unilaterale. Anche perché Obama è convinto che la Siria non è lo stesso contesto della Libia del 2011, la misura dell’intervento essendo su scala molto ridotta e non bisognoso della solidarietà di una coalizione internazionale.
Non cambia idea anche il premier francese Hollande, nemmeno di fronte alla defezione britannica. Il presidente non esclude raid aerei prima di mercoledì, data in cui si riunirà il Parlamento in seduta straordinaria per un dibattito sulla Siria. “Un insieme di indizi – sottolinea Hollande – va nel senso della responsabilità del regime di Damasco”. Quanto al no di Londra e alla domanda se la Francia interverrà senza la Gran Bretagna, Hollande ha risposto: “Sì. Ogni paese è sovrano sulla partecipazione o meno ad un’operazione. Questo è valido per la Gran Bretagna e lo è per la Francia”.
Negli Stati Uniti, la “sottile linea rossa” tracciata dal presidente, l’utilizzo di armi chimiche contro la popolazione civile, impegna e vincola soprattutto Obama che rischia la sua credibilità ma appare sempre più solo: non parla Hillary Clinton, in parlamento cresce una fronda bipartizan anti-intervento.
Mentre la sinistra del fronte interventista — guidato dall’ambasciatrice Usa alle Nazioni Unite Samantha Power e dalla National Security Advisor Susan Rice — si ritrova, come fu per l’Iraq, a essere più vicina ai neocon che ai democratici; i dubbi dell’ex segretario della difesa Donald Rumsfeld hanno confuso ancora di più le acque: il grande architetto della guerra in Iraq si è detto dubbioso su un possibile coinvolgimento americano chiedendo alla Casa Bianca di «giustificare» un eventuale attacco. (Serena Danna, Corriere della Sera)