Siria, perché Trump voleva ritirarsi: i retroscena dietro l’attacco chimico di Ghuta

di redazione Blitz
Pubblicato il 12 Aprile 2018 - 12:00 OLTRE 6 MESI FA
Ecco perché Trump voleva ritirarsi dalla Siria

Siria, perché Trump voleva ritirarsi: i retroscena dietro l’attacco chimico (Foto Ansa)

WASHINGTON – Un attacco americano contro la Siria sarebbe contro il diritto internazionale, ad opera di un presidente, Donald Trump, che non ne ha i poteri.

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Ci sono precedenti illustri, da Kennedy e Jonhson, che scatenarono la guerra in Vietnam senza autorizzazione, a Clinton, che bombardò l’Afghanistan per distrarre gli americani dalla sua scappatella con Monica, a Obama, che partecipò alla spedizione contro Muammar Gaddafi in Libia nel 2011.

Ma questa volta il gioco è serio, perché dall’altra parte c’è la Russia che vuole riaffermare il suo ruolo in Medio Oriente, e il dubbio che qualcosa non sia giusto in tutto il pandemonio scatenato da Obama e Hillary Clinton con le primavere arabe in nome di una libertà che tagliava teste e mani per conto di Allah.

Con Trump, è la convinzione di molti, non si sa dove si può finire: una bomba nucleare sulla Corea di Kim? Missili su Mosca o su Teheran? Mary Ellen O’Connell, esperta di diritto internazionale all’Università di Notre Dame, non ha dubbi: “La forza militare contro la Siria violerà il diritto internazionale quanto l’uso di armi chimiche. Il presidente Trump vuole far rispettare la legge violandola”.

Spencer Ackerman ha scritto sul Daily Beast: “L’autorità giuridica del presidente americano di attaccare Bashar al Assad è decisamente assente”. E spiega che il presidente siriano non è soggetto a nessuna delle due autorizzazioni, approvate dal Congresso dopo l’11 settembre, per consacrare l’uso della forza militare. Non fa parte di al Qaeda, né di un’organizzazione di successori come il cosiddetto Isis, che è equivocamente coperta dall’autorizzazione del 2001, e non fa parte del regime di Saddam Hussein. 

Il casus belli di Trump è il presunto attacco di armi chimiche lanciato da Assad su Douma, sobborgo di Damasco, in cui sono rimasti feriti 500 civili, di cui 70 sono morti. Questo attacco è “giustamente descritto come un crimine di guerra”, secondo Mary Ellen O’Connell. Ma ciò non significa che gli Stati Uniti possano legalmente rispondere, in assenza di una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Non è solo Putin a non credere all’uso delle armi chimiche da parte del regime di Assad. In Italia a sostenerlo è il leader della Lega, Matteo Salvini. 

Ci sono precedenti conclamati. Ai tempi della guerra in Bosnia, solo il New York Times scrisse che gli stessi bosniaci sparavano con i loro cecchini sulla loro gente per attirare lo sdegno internazionale contro i serbi. Non che i serbi fossero stinchi di santo, ma la guerra è guerra ed è difficile distinguere fra buoni e cattivi, se non forse nella intensità della cattiveria e della crudeltà.

Nel caso della Siria c’è una strana coincidenza. Trump aveva deciso di ritirare tutti i 2mila uomini e donne delle Forze speciali americane. Lo aveva già annunciato senza indicare una scadenza.

In questo momento, alla base del potere del presidente Usa di scatenare un attacco alla Siria c’è un commento, fatto a ottobre, da Rex Tillerson, ex segretario di Stato. Quando gli fu chiesto perché l’attacco di aprile 2017 alla base aerea di Shayrat (anche quella volta il bombardamento fu motivato dal fatto che da quella base erano partiti attacchi con armi chimiche) fosse legale, Tillerson rispose che Trump ordinò l’attacco “conformemente ai suoi poteri, ai sensi dell’articolo II della Costituzione come Comandante in Capo e Capo Esecutivo che prevede di utilizzare all’estero questo tipo di forza militare per difendere importanti interessi nazionali degli Stati Uniti”.

Poiché l’attacco è stato una rappresaglia all’attacco chimico di Assad, ha aggiunto Tillerson, era “giustificato e legittimo come una misura per scoraggiare e prevenire l’uso illegale e inaccettabile delle armi chimiche da parte della Siria”.

Quella di Tillerson era una dichiarazione di politica mascherata da una dichiarazione di legge, avverte Ackerman. Il più recente massacro chimico di Assad per i civili siriani è stato devastante ma non c’è uno stato di guerra tra gli Stati Uniti e Assad. Accettare l’affermazione di Tillerson aprirebbe la porta a un potere presidenziale “illimitato”.

Se si accetta che Trump abbia l’autorità unilaterale per decidere di colpire Assad, automaticamente vuol dire che ha simile autorità per attaccare unilateralmente la Corea del Nord, l’Iran o la Francia.

Ora poi, a dare man forte a Trump, c’è il nuovo consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton, noto per il suo atteggiamento anti Nazioni Unite per avere detto (e in fondo non ha tutti i torti, visto quello che costano per quello che fanno) che l’edificio del segretariato delle Nazioni Unite potrebbe perdere dieci dei 38 piani e “non farebbe alcuna differenza”.

Per un paradosso della storia, l’attacco di febbre guerrafondaia ha preso Trump proprio mentre stava spingendo il suo Governo a disporre il ritiro delle truppe Usa presenti in Siria. Lo aveva annunciato il 29 marzo e aveva anche incaricato il Dipartimento della Difesa di elaborare dei piani di uscita, sebbene non avesse fissato una scadenza. Il Pentagono, il Dipartimento di Stato e altre parti del governo degli Stati Uniti stanno spingendo affinché gli Usa rimangano in Siria.

Anche se un ritiro dalla Siria potrebbe portare benefici agli Stati Uniti in tre modi. Un ritiro libererebbe truppe precedentemente impegnate per altre missioni. Washington ha mantenuto una presenza relativamente minore in Siria con circa 2.000 persone, ma la maggior parte di queste truppe proviene da unità operative speciali, costantemente in forte domanda. E l’aereo che supporta queste forze potrebbe essere usato altrove.

Un ritiro potrebbe anche essere utile a migliorare i rapporti con la Russia. Mosca ha costantemente e fermamente chiesto alle forze americane di lasciare la Siria. Mentre Washington considera le sue relazioni con Mosca, la Casa Bianca può concludere che è necessario migliorare i rapporti per una maggiore cooperazione su altre questioni, in particolare la Corea del Nord e il controllo degli armamenti.

Il terzo, il più importante, a beneficiare di un ritiro potrebbe essere il rapporto tra Stati Uniti e Turchia. Il supporto degli Usa alle Forze Democratiche Siriane (SDF), un gruppo ribelle composto principalmente da miliziani curdi delle Unità di protezione del popolo (Ypg), ha rappresentato uno dei maggiori ostacoli a un buon rapporto tra Washington e Ankara e nel tempo, ha portato a profonde divergenze. Un ritiro degli Stati Uniti significherebbe una riduzione del sostegno, lasciando un’apertura alla Turchia per contrastare più duramente l’SDF. Data la fondamentale importanza della Turchia per la strategia di sicurezza degli Stati Uniti in Medio Oriente e in Europa, il beneficio più tangibile tratto da un ritiro sarebbe quello di stabilire dei rapporti migliori.

Ma secondo gli alti comandi militari Usa, lasciare la Siria comporterebbe anche costi significativi e probabilmente danneggiare gli obiettivi e gli interessi degli Stati Uniti, compresa la missione principale: la lotta contro lo Stato islamico e altri gruppi estremisti violenti.

Un ritiro potrebbe anche danneggiare un altro importante obiettivo degli Stati Uniti: limitare l’espansione dell’Iran nell’area. Gli Stati Uniti utilizzano la loro presenza nella Siria orientale per fare pressione sulle linee di rifornimento di Teheran ai suoi alleati a Damasco e in Libano.