I soldi di “carta”: una montagna che cresce. Sulle spalle del Pil mondiale: 50 a 1, il rapporto non regge più

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 8 Dicembre 2010 - 15:47 OLTRE 6 MESI FA

Negli Usa il presidente Obama e l’opposizione repubblicana hanno siglato un “compromesso”: da una parte confermati i tagli delle tasse anche al cinque per cento dei contribuenti ricchi (reddito sopra i 250mila dollari annui) che danno al fisco americano il quaranta per cento del gettito e dall’altra parte nuova spesa pubblica per prolungare la durata dei sussidi di disoccupazione in scadenza e per finanziare vari tipi di sostegno pubblico al diritto allo studio. La prima misura, quella che fa contenti i repubblicani, insomma la destra, costa 315 miliardi di dollari in due anni. La seconda, quella voluta dai democratici, diciamo per comodità la sinistra americana, costa 500 miliardi di dollari nello stesso biennio. Contemporaneamente la Fed, la banca federale americana, sta comprando sui mercati titoli di Stato per almeno 600 miliardi di dollari. Qualcosa di molto simile sta facendo in Europa la Bce, la Banca centrale europea, che compra titoli “sovrani”, cioè obbligazioni di Stato, per 600 miliardi di euro e non esclude di aumentare la cifra. Sono soldi che si vanno ad aggiungere a deficit e debiti “sovrani” mai così alti da un secolo, mai così alti in proporzione alla ricchezza prodotta in Occidente. E soprattutto sono soldi che le Banche centrali “stampano”, ormai indipendentemente dallo stock di ricchezza prodotta dalle rispettive economie.

Negli stessi giorni, nelle stesse ore, ovunque nel mondo crescono i prezzi delle materie prime, dal classico petrolio fino al banale mais. E i “beni rifugio” arrivano a quotazioni altissime ad una velocità impensabile: l’oncia d’oro, circa trenta grammi, vale oggi circa 1400 dollari, ne valeva 1100 non molti mesi fa e si scommette che possa arrivare a 1800 nel 2011. I due fenomeni sono strettamente collegati, sono due “vasi comunicanti” l’aumento del denaro “cartaceo”, cartaceo anche se la “banconota” viaggia sotto forma di “denaro” elettronico, e l’aumento dei prezzi delle materie prime. Collegati e intrecciati in una catena che sta cambiando il mondo conosciuto. Anche il mondo della politica europea, anche il mondo del comune cittadino europeo, anche se entrambi, politica e pubblica opinione, chiudono occhi per non vedere, orecchie per non sentire e labbra per non parlarne.

Il “cartaceo” circolante nel mondo, compreso quello che avete in tasca, quello che vi arriva ogni mese sotto forma di stipendio o pensione, quello che è nei conti correnti in banca, quello che è nei titoli finanziari pubblici e privati, quello che arriva da rendita o profitto, quello rastrellato dalle tasse di ogni paese è oggi pari a cinquanta volte il Pil mondiale, cioè la ricchezza “materiale” prodotta ogni dodici mesi da tutto il pianeta. E allora? Allora uno non ci pensa mai, ma ogni volta che una banconota viene scambiata con una merce questo avviene perché entrambi, compratore e venditore, in maniera inconsapevole ma non inconscia, reciprocamente si “fidano” che il “valore” di quel pezzo di carta o quella cifra registrata da un chip su una carta elettronica corrisponda in una qualche misura ad un “valore” materiale cui la banconota è connessa. E’ questa l’origine e il senso del denaro: la corrispondenza del “cartaceo” alla ricchezza materiale. Non in un rapporto di uno a uno, altrimenti sarebbe baratto, altrimenti non esisterebbe l’economia, l’industria, il commercio, la finanza. Il rapporto non è misurato in relazione alla ricchezza materiale prodotta, ma anche alla capacità di produrne ancora. Altrimenti non ci sarebbe credito, mercato, investimento. Non uno ad uno dunque, ma uno a cinquanta è rapporto enorme e insostenibile. Uno a cinquanta è rapporto tale da incrinare alla lunga, neanche tanto alla lunga, la fiducia tra compratore e venditore sul valore reale e non cartaceo della corrispondenza tra denaro e merce.

Uno a cinquanta non si sostiene e non si tiene. Però il “cinquanta” cresce con il crescere dei debiti pubblici e della pubblica spesa. E “l’uno” non cresce alla stessa velocità perché il Pil mondiale aumenta sì ma non allo stesso ritmo. Questo cambia, sta cambiando il mondo conosciuto finora, conosciuto dalla politica e dalla gente soprattutto in Occidente. Uno a cinquanta si regge o per lo meno non frana su se stesso, solo a due condizioni. La prima è quella “se va bene”. Se va bene per i prossimi due decenni il Pil mondiale cresce a ritmi stabili del sette/otto per cento annui. In questo caso la ricchezza materiale prodotta ogni anno sul pianeta promette di tenere il passo con il ritmo e il peso della montagna di “cartaceo”. Può succedere, può succedere che “vada bene”, anche se è abbastanza difficile. Ma se succede, se va bene, a tenere alto il Pil mondiale saranno l’Asia e il Sudamerica, non l’Europa e il Nord America. Insomma se va bene e se l’economia mondiale non  va in stallo come un aereo che non tiene più quota, allora quote di ricchezza materiale si sposteranno, già si spostano, dall’Occidente ad altre aree del mondo. Se va bene, l’Occidente sarà meno ricco in proporzione rispetto ad altre zone del pianeta. Se va bene, l’Occidente dovrà, come Stati, nazioni, individui e famiglie, spendere di meno.