Thailandia, il partito del premier rischia lo scioglimento

Pubblicato il 12 Aprile 2010 - 21:05 OLTRE 6 MESI FA

Salito al potere dopo lo scioglimento giudiziario di un esecutivo rivale, il primo ministro Abhisit Vejjajiva potrebbe ora fare la stessa fine: oggi 12 aprile la Commissione elettorale ha riconosciuto il suo Partito democratico colpevole di aver ricevuto donazioni illegali, dando il via a un procedimento che potrebbe portare alla dissoluzione.

Le “camicie rosse” fedeli all’ex premier Thaksin Shinawatra, oggi ancora in piazza dopo i morti di sabato per chiedere nuove elezioni, hanno commentato la decisione – che di fatto contribuisce a rendere più precaria la posizione del primo ministro – come fosse una loro vittoria.

I fatti si riferiscono al 2005, prima del voto che vide trionfare Thaksin. I Democratici sono accusati di aver intascato 259 milioni di baht (5,9 milioni di euro) dalla società cementifera Tpi Polene, finanziando con essi la campagna elettorale: sia l’importo – la legge ammette un massimo di 10 milioni di baht per le donazioni politiche – sia il fatto che all’epoca la compagnia fosse in amministrazione controllata costituiscono violazione delle norme in materia eleettorale.

Il Partito democratico si è sempre difeso sostenendo che quei soldi furono distribuiti a suoi esponenti, nell’ambito di transazioni private. Il caso approda ora sui banchi del Procuratore generale, che ha trenta giorni di tempo per deliberare: se d’accordo con la Commissione, inoltrerà il fascicolo alla Corte costituzionale.

Nel caso i giudici confermino il verdetto di oggi, il Partito democratico verrebbe sciolto, e i maggiori esponenti – tra cui Abhisit – sarebbero interdetti dall’attività politica per cinque anni. La stessa sorte fu riservata a due partiti filo-Thaksin, nel 2007 e 2008. La procedura comunque potrebbe andare avanti per mesi.

Il caso rischia di provocare un terremoto istituzionale, mentre è ancora in corso la ricerca di una soluzione all’attuale crisi. Abhisit, sotto pressione dopo gli scontri che hanno provocato 21 morti e 858 feriti, dà l’impressione di voler prendere tempo, ma oggi il capo di stato maggior Anupong Paochinda ha preso posizione, esortando i politici “a trovare una via d’uscita”, parole che sono state interpretate come un “suggerimento” a sciogliere il Parlamento.

Nel frattempo, tra le accuse reciproche, si cerca di fare luce su quanto accaduto sabato. Abhisit ha oggi puntato il dito contro “gruppi di terroristi infiltrati”: la presenza di una “terza forza” negli scontri è suffragata da alcuni video che mostrano civili in tuta nera aprire il fuoco.

Le prime autopsie hanno però rilevato che nove manifestanti sono stati uccisi da proiettili di “fucili ad alta potenza”, in dotazione solo alle forze speciali: ieri il portavoce del governo aveva negato che l’esercito avesse sparato proiettili veri. Le ‘camicie rosse’, che oggi hanno portato le bare – colorate di rosso e in gran parte vuote – dei loro 16 morti in processione per Bangkok, ora chiamano Abhisit “assassino”, rifiutando qualsiasi negoziato. Ma se il caso giudiziario contro i Democratici avrà l’esito che sperano, potrebbe anche non esserci bisogno di trattare: nuove elezioni sarebbero inevitabili.