Trump da rimuovere subito: altri14 giorni da presidente minaccia e pericolo per gli Usa

di Lucio Fero
Pubblicato il 7 Gennaio 2021 - 10:16 OLTRE 6 MESI FA
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Ci sta pensando e lavorando addirittura lo staff della Casa Bianca, ci stanno pensando e lavorando i suoi uomini. A cosa stanno in queste ore pensando e lavorando? Alla rimozione immediata di Trump dalla carica di presidente degli Usa.

Forse solo un deterrente per il Presidente eversore Trump

Forse solo un deterrente il pensare e lavorare alla rimozione a termini di legge d’emergenza. Un deterrente per Trump, un cuneo messo a separare la figura e i poteri di un presidente ancora in carica e di un capo dell’eversione in piena azione. A rimuovere subito Trump stanno pensando tutte le istituzione americane, anche quelle guidate da uomini e donne del Partito Repubblicano il partito che era di Trump e che ora Trump ha dichiarato partito morto.

Morto, meritevole di morte secondo Trump perché i suoi uomini e donne, a partire dal vice presidente Pence, passando per il leader repubblicano McConnell, arrivando ai funzionari governativi della Georgia e risalendo da tutti i Tribunali d’America su fino alla Corte Suprema, tutti si sono dichiarati fedeli alla Costituzione e non a Trump. Costituzione che Trump ha di fatto stracciato al mattino del 6 gennaio 2021 quando ha lanciato l‘assalto al Parlamento Usa e più ancora al principio primo della convivenza civile: il rispetto per il risultato elettorale.

Anche 14 giorni sono troppi

Trump è presidente fino al 20 gennaio. Così dice la Costituzione e così ha detto il voto libero e regolare degli americani. Biden è ora il presidente eletto, dal 20 gennaio sarà il presidente in carica. Eletto regolarmente come hanno detto tutti i Tribunali e i Governatori chiamati a verificare. E come hanno detto Camera e Senato, il Congresso, chiamati a verificare, ratificare la regolarità dell’elezione. Cosa che, sia pure dopo aver subito assalto armato, hanno fatto respingendo tutte le eccezioni procedurali.

Procedurale e basta, perché in due mesi di grida alle “elezioni rubate” Trump mai ha portato uno straccio di prova, un indizio, un fatto. L’unico a tentare un broglio elettorale in maniera acclarata è stato lui quando ha chiesto ai suoi repubblicani in Georgia di inventarsi 12 mila voti pro Trump che non c’erano.

Da qui al 20 gennaio 14 giorni. Troppi se Trump continua a essere il Trump della mattina del 6 gennaio e in fondo di sempre. Da mesi e mesi Trump pubblicamente diceva: elezioni valide solo se vinco io. Alle milizie paramilitari aveva pubblicamente detto: state indietro ora, poi state pronti. Indietro fino al voto ma, se voto non fosse stato per Trump, pronti a rovesciarlo il voto. Da subito e sempre Trump ha detto non avrebbe mai riconosciuto sconfitta elettorale. Da mesi e mesi Trump comunicava al mondo che per lui democrazia non vale.

Al mattino del 6 gennaio è stato coerente, ha detto alla sua gente armata di gas, elmetti, fucili, bastoni, pistole , divise, bandiere sudiste e inni pro Trump che là, dietro di lui, nel Congresso ci si stava inginocchiando e piegando ad un “presidente illegittimo” e che “non si poteva più sopportare”. Era il segnale, peraltro atteso da chi era andato lì per questo e non altro. Il segnale per l’assalto armato al Campidoglio, al Parlamento Usa, alla democrazia, al risultato elettorale, alla stessa pace interna americana. 

Cosa può ancora fare il capo dell’eversione, la guida della sommossa e della rivolta con indosso ancora per 14 giorni i panni da presidente? Una minaccia e un pericolo per gli Usa, ecco quel che Trump è in questi 14 giorni. Lo è talmente che la sommossa tesa a rovesciare e cancellare il risultato elettorale, seppur ha devastato il Campidoglio e costretto a fuggire i parlamentari, non ha raggiunto il suo scopo, un sostanziale golpe, perché molti non hanno obbedito agli ordini e minacce di Trump. Non ha obbedito Pence, non hanno obbedito la maggioranza dei parlamentari repubblicani, non hanno obbedito giudici nominati dai repubblicani e funzionari in carica per scelta dei repubblicani. Vale la pane di ricordarlo nel giorno dell’assalto lanciato da un presidente capo dell’eversione: la quasi totalità del ceto dirigente Usa ha scelto la fedeltà alla Costituzione e non a Trump.

Terrorismo domestico

Terrorismo domestico, qualcuno ha definito così il formarsi e il passare all’azione delle milizie pro Trump. L’assalto al Parlamento. Non in Africa, Sud America o Sud Est asiatico in anni relativamente lontani. Ma a Washington 2021. America sotto choc titolano più o meno tutti nel mondo (a Mosca e Pechino leggendo non potranno che essere soddisfatti). Ma lo choc da sorpresa e sgomento è l’ultima delle sensazioni coerenti con la storia recente. Si sapeva, si vedeva che sarebbe successo. Trump lo prometteva, lo preparava.

E soprattutto la rivolta, la sommossa, il disprezzo e lo spregio verso la democrazia sono Trump, lui è sempre stato questo. E se quattro anni fa una maggioranza di elettori ha condiviso e applaudito al disprezzo e spregio verso la democrazia, questi non hanno cambiato natura perché benedetti e purificati dalla volontà elettorale. Sempre disprezzo, sfregio schifo per la democrazia sono e restano, anche se votati. Infatti quattro anni dopo, se il voto non obbedisce alle intimazioni, il popolo di Trump si fa squadrismo e Trump lancia la sommossa contro gli Usa. (Fonte Agenzia Vista / Alexander Jakhnagiev)