Referendum in Turchia, uno strappo con il passato

Pubblicato il 13 Settembre 2010 - 16:24 OLTRE 6 MESI FA

Recep Tayyp Erdogan

Una scissione: questo, secondo Enzo Bettiza sulla Stampa, è il significato del referendum di ieri in Turchia, passato con il 58 per cento dei voti, nonostante gli otto anni di contestazioni mosse al governo di Recep Tayyp Erdogan, promotore della consultazione, e al suo partito di centrodestra e filoislamico Akp (Giustizia e sviluppo).

E’ andato a buon fine il tentativo di Erdogan di emendare la Costituzione varata nel 1982, dopo il colpo di stato militare del 1980, con l’approvazione delle proposte di cambiamento dei 22 articoli.

Da un lato, sottolinea Bettiza, diverse misure intese a “perfezionare l’immagine europea della Turchia”, con più diritti a donne, bambini, disabili e anziani. Dall’altro lato, invece, segnali dell’intenzione di Erdogan di “infliggere un colpo decisivo, al potere congiunto di magistrati e militari”, custodi della laicità di Mustafa Kemal Ataturk dal 1923. Fu proprio il “padre dei turchi” ad europeizzare l’ex stato ottomano, con il suffragio universale, l’alfabeto latino, il calendari gregoriano, il sistema decimale.

E se oggi la Turchia, Paese a maggioranza musulmana, può aspirare ad entrare a far parte dell’Unione europea, lo deve proprio all’impronta anticlericale lasciata da Ataturk, e custudita in tutti questi decenni dai generali e dai giudici della Corte costituzionale.

Solo nel 2008 un golpe militare rischiò di spazzare via Erdogan e la sua spinta filo-islamica. Perciò il risultato di questo referendum, seppure con il suo 77 per cento di votanti, inferiori all’88 per cento atteso dal partito di governo, segnala una svolta nel panorama turco, la “fine della modernizzazione forzata del solo paese che impediva ai muezzin di invitare alla preghiera i fedeli in lingua araba”.

Con le modifiche del referendum, la religione entrerà nella magistratura e nell’esercito: magistrati d’estrazione religiosa andranno infatti a far parte della Corte costituzionale e del Consiglio di sicurezza nazionale, l’organismo con cui i militari partecipano alla vita dello Stato.

Ridotto anche il potere dei tribunali militari, che non potranno più processare civili, e i militari, se processati, dovranno essere sottoposti al verdetto di tribunali ordinari.

Oltre all’incognita Europa, c’è un altro nodo non ancora risolto: i curdi, spaventati dallo sbarramento del 10 per cento in parlamento, visto da loro come un’arma per escluderli.