Usa: monta la protesta degli elettori contro la casta di Washington, accusata di opportunismo

di Licinio Germini
Pubblicato il 20 Maggio 2010 - 15:45| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Il candidato repubblicano Rand Paul ha vinto le primarie del Kentucky con l'appoggio del Tea Party

Fino a qualche mese fa erano pochi gli americani che avevano sentito parlare del Tea Party, una organizzazione politica non esattamente definibile come repubblicana o democratica che trae la sua forza dalla protesta contro l’establishment, o casta, di Washington.

Nella storia degli Stati Uniti le rivolte contro gli ”incumbents”, ovvero i già eletti che vogliono esserlo di nuovo, sono state un fenomeno ciclico. E’ successo anche alle elezioni primarie di martedi in Arkansas, Kentucky e Pennsylvania, e a giudizio di vari analisti questo vento di rinnovamento è qui per restare.

Le vittorie a sorpresa con l’aiuto del Tea Party come quella del repubblicano Rand Paul in Kentucky, scrive il New York Times, hanno fatto capire alla casta washingtoniana che uno tsunami si sta precipitando verso di lei, ed è buffo vedere come molti stanno gia’ cercando di correre ai ripari, rendendosi però ridicoli.

Come il senatore repubblicano dello Utah Orrin Hatch che si è messo a criticare montveementemente Washington dopo avervi vissuto e lavorato per gli ultimi 34 anni.

Ma in un’analisi su quanto accaduto alle primarie di martedi, il Nyt va oltre l’affermare che il Tea Party sia il solo responsabile del cambiamento, e scrive che una insurrezione in precedenza limitata a relativamente pochi sta diventando ”mainstream”, ovvero ”maggioranza” o ”molto diffusa”.

D’altra parte, credere che i risultati delle primarie di martedi siano solo l’ultima rivolta contro gli ”incumbents”, causata dalla diffusa angoscia economica, vuol dire non accorgersi di tendenze più profonde nell’elettorato che promettono altri sviluppi, tendenze che hanno causato una rottura senza precedenti tra i tradizionali artefici delle politiche a Washington e gli elettori che effettuano le scelte al momento del voto.

Le vecchie leggi della politica hano perso la loro rilevanza con l’evolversi dei comportamenti e della tecnologia, creando una sorta di instabilità endemica che probabilmente non sparirà solo perchè i prezzi delle case cominciano a risalire dopo la crisi. E quella instabilià non è più alimentata solo da mini-movimenti tipo il MoveOn.Org o il Tea Party, come ritengono certi commentatori.

L’insurrezione degli elettori è diventata popolare come Mickey Mouse, e fino a quando i partiti a Washington si consoleranno con la falsa convinzione che tutto questo caos prima o poi se ne andrà, non comprenderanno le più durevoli lezioni delle primarie di martedi.

La prima lezione è che la vecchia idea di ”sgombrare il campo” per il candidato favorito dal partito, allo scopo di evitare acerrime primarie, è diventata una reliquia storica. Cosa che avrebbe dovuto essere chiara a tutti quando nel 2008 Barack Obama, snobbato dal suo partito e dall’establishmente washingtoniano, non se ne preoccupò più di tanto e raccolse, da solo, mezzo miliardo di dollari.

Una nuova generazione di politici è cresciuta con più scelte di consumo e minore lealtà verso le istituzioni, e non vogliono prendere ordini dai leader dei partiti. Nè, grazie a internet – chiedetelo a Obama – devono fare affidamento sulle strutture partitiche per avere soldi da spendere per le campagne elettorali.

Un’ altra lezione è che le politiche degli obiettivi da raggiungere, su cui i partiti hanno modellato le loro identità, sono state ora per la maggior parte sostituite dalle politiche delle convinzioni personali. Ovvero, i risultati di martedi non sono tanto una purga ideologica per entrambi i partiti, quanto il rigetto della loro cultura e la convinzione che Washington agisce solo per opportunismo.

Quindi, conclude il Nyt, è lecito aspettarsi che l’insurrezione dei votanti farà vedere alla casta i sorci verdi.