Usa: Rand Paul, il Messia del Tea Party che con quel che dice fa sobbalzare i notabili repubblicani

Pubblicato il 23 Maggio 2010 - 08:23 OLTRE 6 MESI FA

Il candidato senatoriale repubblicano e membro del Tea Party Rand Paul

Che il movimento politico conservatore Tea Party avrebbe almeno in parte cambiato le cose nella politica americana se lo aspettavano, chi più chi meno, un po’ tutti.

Da un anno il movimento è diventato noto al grande pubblico nazionale, con un “tax day” che venne accolto con ironia e scetticismo dall’establishment di destra e di sinistra. Blitz quotididiano ne diede notizia nell’aprile del 2009: nessuno li prese davvero sul serio. Ora però le cose stanno cambiando.

Quello che nessuno si aspettava è che uno degli eletti martedi scorso con l’appoggio del movimento alle primarie repubblicane del Kentucky, Rand Paul, facesse subito saltare sulla sedia i notabili repubblicani che – come i democratci – sono già in agitazione per le elezioni di medio termine a novembre.

Va detto innanzitutto che i membri del Tea Party, pur essendo in maggioranza repubblicani,  hanno cominciato come movimento di protesta conro quello che ritengono un carico fiscale eccessivo. Va bene pagare le tasse per far funzionare la nostra città e magari anche lo stato e l’intero paese, ma non per finanziare le aziende decotte e le banche in crisi. Stato snello, poco interventist, efficiente e soprattutto non assistenziale.

Dalla protesta fiscale, hanno ampliato la lista dei loro bersagli: soprattutto contro l’establishment e lo status quo: la Casa Bianca, il senato, la camera dei rappresentanti, i governatori, i giudici e via discorrendo.

 E ce l’hanno col tradizionale sistema partitico di scegliere un candidato ”nelle stanze piene di fumo” e puntare tutto su di lui per farlo vincere, senza tener conto di altri possibili candidati.

Sembrano i temi cari a Umberto Bossi e alla sua Lega, che in Italia hanno portato quello che sembrava un movimento di protesta di valligiani irrequieti in un grande partito, decisivo per la politica italiana e per la stabilità del Governo, che ormai ha in mano o condiziona le regioni del Nord.

Questo è esattamente cosa avevano fatto i notabili repubblicani per le primarie del Kentucky, dove avevano scelto come candidato Trey Grayson, fregandosene altamente del quarantasettenne Paul e del fatto che era sostenuto dal Tea Party. Paul, un ex-oftalmologo politicamente neofita, ha corso da solo, con l’establishment del partito se non contro certo indifferente, ed ha vinto con ampio margine. Il magazine The Atlantic lo ha subito soprannominato ”il Messia del Tea Party”.

E questo è stato il primo colpo. A seguire sono state le cose che Paul ha detto dopo l’elezione, a dimostrazione che se qualcuno pensava che sarebbe stato attento a qello che diceva si sbagliava di grosso.

Alcuni commenti: le aziende dovrebbero avere la facoltà di negare l’assunzione alle minoranze razziali in favore dei bianchi; ”quello che non mi piace di questa amministrazione è la maniera in cui parlano del disastro nel Golfo del Messico e della Bp. Dire come ha fatto il ministro dell’Interno, Ken Salazar, che infilerà il tacco del suo stivale nella gola della BP non è in linea con l’atteggiamento pro-business dell’America”.

Poi c’e’ stato il commento riguardo all’incidente minerario nel Kentucky in cui sono morti due minatori. Ha detto Paul quando si è recato a vsitare le famiglie: ”L’incidente è stato tragico. Ma qualcuno ha subito cercato di affibbiare la colpa a qualcun altro. Invece, potrebbe essersi trattato di un incidente, come nel caso della piattaforma petrolifera esplosa nel Golfo del Messico.  Tutti a cercare i colpevoli, ma gli incidenti accadono”.

Non è bastato. Invitato al programma televisivo progressista di Rachel Maddow, Paul si è lasciato portare dall’abile giornalista sul terreno della legge sui diritti civili del 1964, ed a un certo punto se ne è uscito così: ”Io odio la discriminazione razziale, ma non credo il governo federale debba avere il potere di costringere i gestori di ristoranti di far entrare minoranze razziali se non lo vogliono”.

Al partito repubblicano non è piaciuto quello che ha sentito da Paul – tutte cose dette in vari e popolari  programmi televisivi – e tre esponenti di grosso calibro hanno avvicinato lui e i suoi collaboratori un pò per fare pace ma soprattutto per dirgli, con tutta la diplomazia necessaria, di tapparsi la bocca o di allinearsi di più alla linea ufficiale del partito.

Se i ”consiglieri” rapubblicani – gli stessi che non hanno appoggiato la sua candidatura alle primarie di martedi – siano riusciti a convincere Paul di darsi una calmata è difficile dire. Ed è anche difficile dire – afferma chi lo conosce bene – se con l’avvicinarsi delle elezioni di medio termine accetterà i consigli di strateghi repubblicani al di sfuori della sua stretta cerchia.

La missione dei ”consiglieri” – comunque, un risultato l’ha ottenuto. Paul domenica avrebbe dovuto essere intervistato dalla popolare trasmissione della NBC ”Meet the Press”. Ma la sua organizzazione elettorale ha annullato l’intervista, accusando i giornalisti di essere fissati con la gaffe del candidato riguardo alla legge sui diritti civili. Può darsi. O forse temevano che il loro uomo non dicesse le cose giuste.