400 ore l’anno perse in fila tra Asl, poste..Caterina Pasolini su Repubblica

Pubblicato il 27 Febbraio 2013 - 15:53| Aggiornato il 11 Agosto 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Trascorriamo una vita in attesa: 400 ore l’anno perse in fila allo sportello della Asl, piuttosto che alle poste, al semaforo o in banca. Sedici preziosi giorni buttati ad aspettare che venga il proprio turno. Caterina Pasolini, sul quotidiano la Repubblica, ha raccolto i dati Istat per raccontare un’Italia in perenne attesa, tra disservizi e cultura del “sorpasso”, perché gli italiani si sa non sanno rispettare le code, la queue è un concetto troppo sofisticato e anglosassone per adattarsi bene sulla pelle dei furbetti all’italiana. Questa la fotografia scattata da Caterina Pasolini:

[L’Italia è ] un Paese dove tra burocrazia e mancanza di personale, tra furbetti e maleducati impegnati a gabbare il vicino e superarlo, cresce anno dopo anno l’esercito di chi staziona davanti ai banconi con gli occhi fissi al numeretto. È un’Italia in perenne  attesa, dove nel migliore dei casi la metà dei cittadini aspetta ben più di venti minuti prima di riuscire a consegnare la pratica o parlare con l’addetto. Dove il Sud sta ancora una volta peggio del Nord, dove il record del disservizio alle poste è della Basilicata (l’84,2 % degli utenti ci mette quasi mezz’ora per ritirare la pensione) mentre la maglia nera delle code all’Asl tocca all’Abruzzo e all’anagrafe del Lazio il poco ambito primato di file più intense e frequenti.

Come gli illusi che nei giorni scorsi a Genova, cadendo nel bluff elettorale di Berlusconi, si sono messi in fila sperando di riavere i soldi dell’Imu. Code a mo’ di gironi infernali che si riformano di continuo, che aumentano del 10% l’anno. Da un lato perché negli uffici è diminuito il personale mentre sempre più cittadini chiedono certificati, dall’altro perché luoghi come le poste sono diventati banche con moltiplicazione dei servizi, analizza Sante Orsini dell’Istat che ammette una certa ritrosia telematica degli italiani che li spinge ad uscire di casa invece che approfittare della Rete.

Così ci ritroviamo sempre più incolonnati, nonostante le innovazioni tecnologiche, che permettono di fare la spesa o controllare il conto corrente via computer, ultima delle quali è Qurami, ovvero una crasi di coda, in inglese que, e curami. È un applicazione scaricabile sul telefonino che consente di prenotarsi negli uffici e sapere a distanza quanto manca al nostro turno, così da organizzarsi il tempo. Un sistema già in funzione all’ufficio di collocamento e a breve anche alla Camera di commercio di Milano, rodato all’Università Luiss della capitale, e in via di utilizzazione dalla Provincia di Roma e dal Comune di Firenze. Le code paiono però impossibili da sconfiggere nonostante per l’85% degli italiani siano un vero stress, e vengano vissute come spreco di tempo totale anche perché un solo utente su dieci inganna il tempo leggendo libri o giornali.

Il problema è nella burocrazia vista come nemico pubblico numero uno ma anche in una sostanziale diffidenza tecnologica:

«La gente ancora non si fida delle pratiche in Rete, preferisce andare a parlare con l’impiegato sperando di ottenere di più con la discussione e nell’attesa sfoga malumori con i vicini, condivide pezzi di vita in quello che diventa uno dei pochi spazi rimasti di vita sociale. Anche se per superare il vicino si è pronti ad ogni astuzia e maleducazione ». Tanto che persino sul web c’è una sorta di manuale per gabbare gli ingenui e gli onesti in coda, inventandosi malori improvvisi, auto in doppia fila anche se non si ha la patente e cosi via.