È il Sarkozy di sinistra, e poco anche di quella. Manuel Valls, 51 anni, fino a ieri ministro dell’Interno, è il nuovo capo del governo francese. François Hollande segue la vecchia regola della Quinta Repubblica: quando le cose vanno bene, è merito del Presidente; quando vanno male, è colpa del premier. Attualmente vanno malissimo, come ha dimostrato la disfatta alle amministrative, quindi a un’opinione pubblica insoddisfatta è stata data in pasto la testa del fedele, leale, onesto e insoddisfacente Jean-Marc Ayrault.
Valls è il più popolare dei ministri in carica, forse l’unico. Il problema, e qui c’è tutta la difficoltà della presidenza Hollande, è che non sembra affatto un socialista. Da quando è in place Beauveau, il Viminale francese, ricorda irresistibilmente un precedente inquilino del luogo: Sarkò. Come lui, si considera «le premier flic de France», il primo sbirro di Francia. Come lui, è sempre in movimento, perennemente sul luogo di ogni delittaccio o catastrofe naturale, sfiancando con i suoi ritmi forsennati i collaboratori, i giornalisti e anche i poliziotti veri. Come lui, predica la tolleranza zero, ribattezzata «fermeté republicaine», contro i campi rom non autorizzati, le donne in burqa e gli show antisemiti dell’umorista Dieudonné. Come lui, soprattutto, è di un’ambizione talmente scoperta da risultare quasi tenera.

Il Fatto Quotidiano: “Renzi fa ciò che vuole. E il Colle lo benedice”.

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Il Giornale: “Fuori i tromboni”. Editoriale di Alessandro Sallusti:

Il governo ha varato ieri il disegno di leg­ge per la riforma (di fatto l’abolizione) del Senato che dovrà met­tere fine a sprechi di dena­ro, perdite di tempo e inefficienze. Una botta al­la casta non da poco. Non mi faccio illusioni sul fat­to che vada in porto. Per­ché diventi legge servo­no due passaggi al Sena­to e due alla Camera con maggioranze qualifica­te. Di fatto, salvo miraco­li, una missione impossi­bile. Eppure oggi è ugual­mente un bel giorno. La cosa ci deve mettere di buon umore e non solo perché qualcuno almeno ci prova. Sentire il premier Ren­zi in conferenza stampa rivendicare il patto con Berlusconi (precursore di questa riforma) e man­dare a quel paese i trom­boni che da anni infesta­no e paralizzano la Re­pubblica è fatto davvero nuovo e musica per le no­stre orecchie. A chi mi ri­ferisco? A quegli intellet­tuali e tecnici che subito si sono messi di traverso alla riforma con la spoc­chia classica di chi non sa­pendo fare non vuole che si faccia. Dal presidente del Senato Grasso (un ma­gistrato arruolato dal Pd e miracolato poi dalla po­litica) a quel Gustavo Za­grebelsky che pontifica su tutto dal pulpito della presidenza di Libertà e giustizia, un clubbino na­to­per abbattere Berlusco­ni tanto caro a Oscar Lui­gi Scalfaro e a Gad Ler­ner. Da Mario Monti, l’economista che ha tra­scinato l’Italia nella palu­de delle tasse e della re­cessione a Stefano Rodo­tà, comunista accademi­co del tutto tanto caro agli ultrà grillini.