Abolizione Senato e Matteo Renzi: prime pagine e rassegna stampa
Pubblicato il 1 Aprile 2014 - 08:23 OLTRE 6 MESI FA
Il Corriere della Sera: “Così può cambiare il Senato”. Il complesso del tiranno. Editoriale di Pierluigi Battista:
Difficile spiegare a uno straniero dell’Occidente liberaldemocratico che la fine del bicameralismo perfetto, fortunatamente sconosciuto nel suo Paese, sia visto in Italia come l’anticamera di una mostruosa «deriva autoritaria». O che un ragionevole rafforzamento dei poteri del capo del governo sia il primo passo dello sprofondamento negli abissi di un regime antidemocratico. O che l’abolizione delle Province sia l’avvio di una ipercentralizzazione tirannica dello Stato che soffoca ogni autonomia locale. Difficile spiegare i vibranti appelli contro la riforma radicale del Senato, la psicosi di una cultura così impaurita e paralizzata dallo spettro del «regime autoritario», da vedere pericoli di dispotismo in riforme istituzionali che altrove, all’interno di democrazie consolidate e sicure di sé, appaiono semplicemente normali.
Ovviamente, nel merito del pacchetto di proposte di riforme costituzionali che Matteo Renzi ha voluto intestarsi si può e si deve discutere, ci mancherebbe. Ma spingere, dopo decenni di dibattiti inconcludenti, sul tasto dell’«allarme democratico» e della «Costituzione violentata» rivela l’impantanamento in uno schema mentale squisitamente conservatore che ha impedito sin qui di avviare le riforme istituzionali, di incardinarle in un progetto razionale, senza il terrore del cambiamento e la difesa cieca di un assetto immutabile.
Sullo sfondo rimane l’aut aut di sempre: o le riforme plasmate da palazzo Chigi, o le elezioni anticipate. La sostanza della conferenza stampa di ieri del premier Matteo Renzi non lascia margini. Il Senato deve diventare un’altra cosa, priva di qualunque peso politico. E l’Italia dovrà cambiare, altrimenti lui, il presidente del Consiglio, andrà a casa. «Ma andranno a casa anche quelli che frenano, perché non potranno uscire di casa», inseguiti a suo avviso dalla collera popolare. Lo schema non prevede vie di mezzo o mediazioni: l’unico linguaggio è quello di una sfida che non ammette distinguo né rallentamenti. Renzi assicura che non vuole nemmeno pensare al voto politico. E giura di non minacciare nessuno. Eppure, lo scontro istituzionale è vistoso: in particolare con i vertici del Senato.
La durezza con la quale il premier attacca Piero Grasso, seconda carica dello Stato, reo di avere criticato apertamente la riforma, è indicativa. Fa capire quanto sia forte la determinazione a seguire una tabella di marcia che inevitabilmente si porta dietro una scia di riserve e malumori; e quanto qualunque richiesta di chiarimento, di dibattito, e di potenziale ritardo, venga subito additata come sabotaggio, e come difesa dello status quo. Sostenere che Grasso ha sbagliato se parlava da presidente del Senato, perché avrebbe rinunciato al ruolo di arbitro, è già un’affermazione impegnativa. Aggiungere che se invece si è espresso da esponente del Pd, è naturale che possa essere stato criticato dai fedeli di Renzi, come la vicesegretaria Debora Serracchiani.
Cala il prezzo di telefonate e messaggi, in flessione la benzina e gli alimentari. Diminuzione anche del prezzo delle sigarette, ai minimi da dodici anni. L’inflazione è scesa ancora a marzo allo 0,4% (secondo l’indice nazionale dei prezzi al consumo), toccando nuovi minimi dall’ottobre 2009. Bassa inflazione anche a livello europeo, nell’area della moneta unica la crescita è scesa allo 0,5% dallo 0,7%.
Numeri che destano preoccupazione proprio nel momento in cui si accenna una debole ripresa. In cinque mesi in Italia la crescita dei prezzi si è dimezzata e il tasso si sta avvicinando alla soglia «zero»: quando la si supera si cade in deflazione (cioè la diminuzione generale dei prezzi generata dalla scarsa domanda e dal calo dei consumi, sintomo di un’economia in difficoltà). La Spagna ha dato l’allarme, registrando a marzo un ribasso dello 0,2%. Ma anche le cifre della Germania destano qualche preoccupazione: +0,9% su base annua. Si tratta di numeri nel loro complesso lontani dal target ufficiale della Banca centrale europea, che per l’inflazione indica un dato vicino ma inferiore al 2%. È per questo che i mercati guardano con attenzione alla riunione della Bce di giovedì. Gli analisti danno per certo che l’Eurotower prenderà ancora tempo, lasciando invariati i tassi (fermi al minimo storico dello 0,25% dallo scorso novembre), promettendo piuttosto di fare tutto il necessario in caso di «deterioramento» delle prospettive di inflazione. La Bce di Mario Draghi ha anche incassato l’apertura del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann. È probabile che le decisioni arrivino verso maggio-giugno, quando ci sarà un dato sull’inflazione più omogeneo.
La prima pagina de La Repubblica: “Senato, riforma al via. Ma la sfida di Renzi è appesa a 40 voti”.
La Stampa: “Senato, Renzi si gioca tutto”.
Hollande sceglie Valls per un “governo di lotta”. Dal corrispondente Alberto Mattioli:
È il Sarkozy di sinistra, e poco anche di quella. Manuel Valls, 51 anni, fino a ieri ministro dell’Interno, è il nuovo capo del governo francese. François Hollande segue la vecchia regola della Quinta Repubblica: quando le cose vanno bene, è merito del Presidente; quando vanno male, è colpa del premier. Attualmente vanno malissimo, come ha dimostrato la disfatta alle amministrative, quindi a un’opinione pubblica insoddisfatta è stata data in pasto la testa del fedele, leale, onesto e insoddisfacente Jean-Marc Ayrault.
Valls è il più popolare dei ministri in carica, forse l’unico. Il problema, e qui c’è tutta la difficoltà della presidenza Hollande, è che non sembra affatto un socialista. Da quando è in place Beauveau, il Viminale francese, ricorda irresistibilmente un precedente inquilino del luogo: Sarkò. Come lui, si considera «le premier flic de France», il primo sbirro di Francia. Come lui, è sempre in movimento, perennemente sul luogo di ogni delittaccio o catastrofe naturale, sfiancando con i suoi ritmi forsennati i collaboratori, i giornalisti e anche i poliziotti veri. Come lui, predica la tolleranza zero, ribattezzata «fermeté republicaine», contro i campi rom non autorizzati, le donne in burqa e gli show antisemiti dell’umorista Dieudonné. Come lui, soprattutto, è di un’ambizione talmente scoperta da risultare quasi tenera.
Il Fatto Quotidiano: “Renzi fa ciò che vuole. E il Colle lo benedice”.
Leggi anche: Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Lasciatemi lavorare/2″
Il Giornale: “Fuori i tromboni”. Editoriale di Alessandro Sallusti:
Il governo ha varato ieri il disegno di legge per la riforma (di fatto l’abolizione) del Senato che dovrà mettere fine a sprechi di denaro, perdite di tempo e inefficienze. Una botta alla casta non da poco. Non mi faccio illusioni sul fatto che vada in porto. Perché diventi legge servono due passaggi al Senato e due alla Camera con maggioranze qualificate. Di fatto, salvo miracoli, una missione impossibile. Eppure oggi è ugualmente un bel giorno. La cosa ci deve mettere di buon umore e non solo perché qualcuno almeno ci prova. Sentire il premier Renzi in conferenza stampa rivendicare il patto con Berlusconi (precursore di questa riforma) e mandare a quel paese i tromboni che da anni infestano e paralizzano la Repubblica è fatto davvero nuovo e musica per le nostre orecchie. A chi mi riferisco? A quegli intellettuali e tecnici che subito si sono messi di traverso alla riforma con la spocchia classica di chi non sapendo fare non vuole che si faccia. Dal presidente del Senato Grasso (un magistrato arruolato dal Pd e miracolato poi dalla politica) a quel Gustavo Zagrebelsky che pontifica su tutto dal pulpito della presidenza di Libertà e giustizia, un clubbino natoper abbattere Berlusconi tanto caro a Oscar Luigi Scalfaro e a Gad Lerner. Da Mario Monti, l’economista che ha trascinato l’Italia nella palude delle tasse e della recessione a Stefano Rodotà, comunista accademico del tutto tanto caro agli ultrà grillini.