“Alfano, Fini e Martelli: fenomenologia del delfino”. Stenio Solinas sul Giornale

di Redazione Blitz
Pubblicato il 19 Novembre 2013 - 11:36 OLTRE 6 MESI FA
"Alfano, Fini e Martelli: fenomenologia del delfino". Stenio Solinas sul Giornale

“Alfano, Fini e Martelli: fenomenologia del delfino”. Stenio Solinas sul Giornale

ROMA – Martelli e Fini scrivono le loro memorie mentre Alfano diventa diversamente berlusconiano. Ecco i loro difficili tragitti paralleli.

Scrive Stenio Solinas sul Giornale:

Fenomenologia del del­fino potrebbe essere il titolo complessivo che riunisce le auto­biografie politiche di Claudio Martelli ( Ricordati di vivere , Bompiani, pagg. 594, euro 19,50) e di Gianfranco Fini ( Il ventennio , Rizzoli, pagg. 244, euro 18) appena uscite, e quel­la futura di Angelino Alfano ( Es­sere o non essere? Il Fattore Quid , potrebbe essere il titolo).

Ma anche Delfini diversi andrebbe bene, perché in fondo ciascuno di essi ha inter­pretato quel ruo­lo in modo tutto proprio e origina­le: da fido scudie­ro traditore suo malgrado, il pri­mo, da uomo che volle farsi re fini­to senza regno, il secondo, da fi­glioccio naturale e poi diversa­mente berlusco­niano, il terzo.

Su Martelli e Fi­ni torneremo più avanti, ma il delfi­nato alfaniano merita la pole po­sition , se non al­tro perché il più nuovo e ancora in fieri . Rispetto agli altri due casi, il suo risulta più complicato in quanto si ha a che fare con un delfino suo malgrado. Fra Cra­xi e Martelli, si sa, fu innamora­mento a prima vista; Fini visse da principe ereditario la sua gio­vinezza partitica, quella almi­rantiana, e, nella successiva maturità contrassegnata dalla discesa in campo del Cavaliere, parve a molti che la logica politi­ca e­anagrafica lo portasse natu­raliter alla successione. Alfano cresce invece in un ambiente che di lui sembra non accorger­si, tanto è considerato un’ap­pendice. Quando infine la scel­ta di Berlusconi lo illumina, non si capisce chi sia il più incre­dulo fra i due… La storia del «quid» e delle primarie è trop­po nota per doverla qui ricorda­re, ma l’impressione di questi ultimi anni rimandava a un rap­porto di fed­eltà dato per sconta­to più che per subito. E invece…

Autore di un parricidio defini­to «senza sangue», in realtà Alfa­no si ritrova a essere uscito «dal­la casa del padre » (una metafo­ra che nel centro-destra è sem­pre stata di moda), non essen­do riuscito a mettere il padre in una casa di riposo. È un quaran­tenne, il futuro dovrebbe sorri­dergli, eppure, a vedere le sto­rie di altri quarantenni di suc­cesso non è sempre stato così (…)

L’avventura di Fini comin­cia, anch’essa da quarantenne, proprio dove il cammino del­l’altro termina bruscamente ed è, per un buon quindicennio, trionfale. Un partito escluso e ai margini diviene dall’oggi al domani forza di governo e «in­credulità » e «sogno» sono a ra­gione i termini usati per rende­re questa metamorfosi. Da quel momento in poi si tratta di trasformarle in realtà, e al termi­ne di quel percorso il partito in­vece non c’è più, il suo leader non siede nemmeno in parla­mento, la dèbacle insomma è totale. Che cosa è successo? Leggendo Il ventennio non si ca­pisce: «Io, Berlusconi e la De­stra tradita» è il sottotitolo, ma tradimento è un termine sba­gliato se applicato a Berlusco­ni, che di destra non è mai stato. Caso mai l’ha annichilita, ma è un’altra cosa.

L’equivoco, naturalmente, sta nel termine, che Fini infatti declina nella sua variante di «nuova destra», «destra moder­na », «destra europea», aggetti­vi correttivi che dovrebbero ri­mandare a una destra vecchia, reazionaria e nazionalistica. Era questo il Msi-Alleanza Na­zionale all’inizio della sua av­ventura di governo? Può darsi, ma Fini ne era già stato, a due ri­prese, segretario,nonché delfi­no di quell’Almirante dominus del ventennio precedente, e quindi, se così è, le sue respon­sabilità non sono secondarie.

Al «delfinismo» reale di Mar­telli rispetto a Craxi, Il venten­nio oppone un «delfinismo» im­maginario di Fini nei confronti di Berlusconi. «Non ho mai pre­so troppo sul serio le sue affer­mazioni circa il mio ruolo di successore designato», dice l’autore partendo dalla consa­pevolezza dello «straordinario vitalismo» di chi le pronuncia­va. «I delfini se non nuotano da soli finiscono spiaggiati» ricor­da altresì di aver affermato in un’occasione, un inciso un po’ insensato quanto al comporta­mento dei cetacei, ma utilizza­to per ribadire una sorta di alte­rità. La fusione in un unico par­tito politico, contraddice un po’ questa diarchia immagina­ta e/o immaginaria, e comun­que nell’essere l’erede designa­to di un leader non ci dovrebbe essere, come Fi­ni sa per averlo sperimentato in prima persona, niente di male… Dando comun­que per buone le sue valutazioni, resta da chieder­si che cosa abbia cementato dal 1994 al 2010, sedi­ci anni dunque, un’alleanza poi finita negli strac­ci. Per certi versi può soccorrerci un’analogia con le vicende di Cra­xi, Martelli e il lo­ro Psi. Alla fine degli anni Ottan­ta, il primo si an­corò alla Dc pen­sando e speran­do che il Pci del dopo muro di Berlino si sareb­be disfatto da so­lo. Si ritrovò isola­to e travolto. Allo stesso modo, Fi­ni si ancorò a Ber­lusconi, speran­do e pensando che l’agibilità politica del Cava­liere fungesse da protezione per la propria ripulitura partiti­ca. Era figlio di un Dio minore fa­scista, e sapeva che da solo non sarebbe andato da nessuna par­te. Costruì una nuova identità, ma fittizia e senza spessore, che nel tempo gli si sbriciolò nelle mani e questo mentre era pro­prio l’agibilità politica dell’al­tro a essere messa in discussio­ne. Quando cercò di tirarsene fuori era troppo tardi, si ritrovò anche lui isolato e travolto (…)

E Alfano? È ancora troppo presto per un bilancio, ma le promesse, i protagonismi e i pensionamenti della politica hanno in comune, oltre la stes­sa consonante iniziale, una sor­prendente interscambiabilità.