Alluvione Genova: 20 anni di sperperi e appalti inutili. Imarisio, Corriere della Sera

di Redazione Blitz
Pubblicato il 12 Ottobre 2014 - 08:59 OLTRE 6 MESI FA
Alluvione Genova: 20 anni di sperperi e appalti inutili. Imarisio, Corriere della Sera (foto Ansa)

Alluvione Genova: 20 anni di sperperi e appalti inutili. Imarisio, Corriere della Sera (foto Ansa)

GENOVA – A Genova vent’anni di sprechi, vent’anni di cantieri e appalti inutili.

Marco Imarisio sul Corriere della Sera ricostruisce la catena delle responsabilità che hanno di nuovo costretto Genova a fare i conti con un’altra alluvione, dopo quella del 2011.

La galleria che doveva salvare la città è diventata il magazzino delle canoe. Alle spalle del bagno Squash, nascosto alla vista dei turisti da una fila di cabine azzurre, c’è un reperto di archeologia urbana che ben rappresenta il fallimento ventennale di qualunque prevenzione idrogeologica genovese.
Alla fine degli anni Ottanta l’apertura del cantiere sul mare che doveva costruire lo scolmatore del rio Fereggiano era stato benedetto anche dal vescovo, tanta era l’aspettativa per l’opera salvifica che avrebbe dovuto finalmente liberare tutti dalle insidie di quel micidiale torrente, che nel 2011 si sarebbe portato via sei vite umane e anche la scorsa notte ha fatto la sua parte nel coprire di fango interi quartieri. Il prezzo era anche modico, cinquanta miliardi dell’epoca. Oggi è una distesa di sterpaglie e fango dove non si avventura nessuno, con i primi dieci metri utilizzati come ripostiglio delle barche dei bagnanti. Qualcuno dice che ci hanno dimenticato dentro una ruspa, tanta era la fretta di chiuderlo. Il primo chilometro era quasi finito. Ne mancavano altri sei. Ma nel 1991, agli albori di Tangentopoli, finiscono in manette due assessori socialisti della giunta a forma di pentapartito guidata da Cesare Campart. L’accusa è di corruzione per l’appalto dello scolmatore. Verranno assolti entrambi, nel 2001.
Il cantiere intanto si ferma. Con l’aria che tira in quegli anni, nessuno ha voglia di andarsi a cercare rogne. La chiusura ufficiale viene decretata dal commissario prefettizio Vittorio Stelo. Al suo successore, il sindaco Adriano Sansa, tocca l’ingrato compito di dare l’avvio alla liquidazione. Comincia un salasso per le casse del Comune andato avanti fino a oggi. Nove miliardi di vecchie lire, circa 4,5 milioni di euro, intascati dalle ditte vincitrici dell’appalto, pagate per non eseguire i lavori. L’ultima rata è è dell’ 11 giugno 2013, 624mila euro versati alla Astaldi.
L’epopea dello scolmatore del Fereggiano finisce in archivio. Nel 1998 comincia quella ben più ambiziosa del Bisagno. L’allargamento delle sue volte sotterranee viene diviso in tre parti. La prima viene portata a termine, seppure con un aggravio di spesa da 20 milioni di euro da aggiungere ai 50 iniziali. L’appalto da 35 milioni per la seconda fase viene assegnato nel gennaio 2012. Le aziende uscite sconfitte dalla gara fanno ricorso al Tar della Liguria. Nell’elenco delle presunte irregolarità è citata una differenza di 2,5 centimetri nello spessore delle canne laterali tra il progetto originale e i parametri fissati dal bando. Nel 2013 la gara viene annullata. Nel 2014 viene stabilita l’incompetenza del Tar genovese. A luglio il Tar del Lazio riporta tutto alla casella di partenza decretando la regolarità della gara iniziale. Al netto di nuovi e possibili ricorsi, i lavori devono ancora iniziare. La rimozione del «tappo» che non fa dormire una città intera appartiene però alla terza parte dell’opera. Il costo previsto supera i cento milioni, al momento difficili da trovare.
Senza queste due opere Genova lotta a mani nude con la sua stessa natura. Nel sottosuolo della città scorrono 107 rivi tombati sui quali si è costruito di tutto. In questa precarietà territoriale ogni acquazzone genera un errore. L’ultimo disastro ha due colpevoli dichiarati, anche se forse è ingiusto definirli in questo modo. I tecnici dell’Arpal, l’agenzia regionale dell’ambiente incaricata delle previsioni del tempo, avevano indovinato le alluvioni del 2009, 2010, 2011. «Questa non l’abbiamo beccata» hanno detto ieri a Claudio Burlando. Sono loro che alle 18 di giovedì invitano Raffaella Paita, da due mesi assessore alla Protezione civile e da molto tempo candidata alla guida della Regione, a tornare a casa tranquilla. L’Arpal non è il consueto carrozzone. Viaggia sotto organico, 15 dipendenti su una pianta che almeno in teoria ne prevede 25. Il settore di Protezione civile ed Emergenze della Regione non ha un dirigente responsabile dal febbraio 2012, ed è forse questo l’appiglio per la contesa politica destinata a crescere su quest’ultima tragedia.
Il defunto scolmatore del Fereggiano è stato sostituito con un nuovo progetto. Approvato lo scorso 27 marzo, sposta la galleria principale di qualche centinaio di metri e lo porta sotto il livello del mare. I termini per la presentazione delle offerte sono scaduti venerdì, proprio il giorno dopo la nuova alluvione. Si sono fatte avanti venti aziende. Pronti a partire. Il «vecchio» tunnel doveva terminare la sua corsa sulla battigia che divide i bagni Squash e Marinetta. Oggi in quel punto sorge un campo di beach volley.