ROMA – Autunno. Cadono le foglie e pure i Cinque Stelle. E’ ungarettiano il commento di Mario Sechi sul Foglio a proposito della tempesta abbattutasi sul Campidoglio dopo le dimissioni domino del Capo di Gabinetto, il giudice Carla Romana Raineri, dell’ass. al Bilancio Marcello Minenna, l’”uomo Consob”, figura chiave della giunta Raggi, che aveva accorpato le deleghe al bilancio, alle partecipate e al patrimonio. E poi dei vertici Ama e Atac.
A Roma sono Raggi calanti, la fuga dalla giunta è di vasta scala, i contrasti tra le fazioni grilline hanno impantanato un’amministrazione già alla canna del gas. Siamo al sottosopra. L’addio di Minenna è ancora tutto da spiegare, stimava la Raineri, è legato a Di Maio, è entrato in giunta dopo esser stato coccolato per settimane, sembrava un perfettamente integrato nel disintegratore politico dei grillini. Invece no, a Minenna il bric à brac della Raggi deve esser sembrato qualcosa di esoterico, ben al di là dell’improvvisata scampagnata politica nel governo della Capitale di un gruppo di urlatori professionali.
Cosa ci fa un esperto di finanza, un pioniere dello studio della quantum finance, in compagnia dei supercazzolatori dell’economia? Come conciliare le riflessioni sul meeting dei banchieri centrali a Jackson Hole con le teorie iperlunari del Dibba che con sprezzo del ridicolo propone la sua ricetta sovranista per la prosperità nell’era del libero scambio («vogliamo mangiare quel che produciamo e produrre quel che si mangia», elementare no?), come riorganizzare le partecipate del Comune quando il direttore generale di Atac, Marco Rettighieri, uno tosto, serio, sul pezzo, uno che ci ha provato a raddrizzare un’azienda scassata, iper-sindacalizzata, con buchi di bilancio da film di Dario Argento, con una marea di dipendenti imboscati e pronti a boicottare ogni tentativo di cambiamento, dice che è pronto a levare le tende e se vedemo Virgì con te nun se po’ fa’. Ecco le parole di Rettighieri: «Sì, sono stanco, sono mesi che la politica mi ha abbandonato. Poi, certo, sto ragionando: non sono tipo da azioni campate in aria, fatte d’istinto. io sono un tecnico. Ho un compito, una professionalità e, se mi permette, un’onestà…». Missione impossibile.
Il caos dei trasporti è alle porte, allacciate le cinture, cari romani. Dopo aver lisciato il pelo in campagna elettorale ai dipendenti delle partecipate, i grillini sono alle prese con il sistema stracotto che li ha votati, acclamati. Tenetevelo, il Carrozzone con le strofe di Renato Zero: «Musica gente / cantate che poi / uno alla volta si scende anche noi / sotto a chi tocca in doppio petto blu / una mattina sei sceso anche tu». Scendete, la corsa della menzogna, della propaganda, del meet up, della diffamazione di massa, del rancore sparso come manna, quella corsa è strafinita. C’è altro, là fuori, c’è la realtà.
I grillini sono stati cantonizzati, già, quel Raffaele Cantone per il quale provano sentimenti misti (Egli è la Giustizia, ma perdinci lavora anche con Renzi), li ha messi di fronte alla realtà. Amministrare non è urlare ai quattro venti «onestà onestà» ma conoscere, deliberare, studiare, essere responsabili. Fa sorridere il comunicato della Raggi sulla sua pagina Facebook, va delibato con calma, perché è il distillato dell’ipocrisia grillina, la prosa del contorcimento politico: «Trasparenza. È uno dei valori che ci contraddistingue e che perseguiamo. Per questo motivo abbiamo deciso di chiedere un parere all’Anac, l’Autorità Nazionale Anticorruzione, su tutte le nomine fatte finora dalla Giunta. Una richiesta per garantire il massimo della trasparenza: il palazzo deve essere di vetro, tutti i cittadini devono poter vedere cosa accade dentro. Questo è il M5s. Sulla base di due pareri contrastanti, ci siamo rivolti all’Anac che, esaminate le carte, ha dichiarato che la nomina di Carla Romana Raineri a capo di gabinetto va rivista in quanto la corretta fonte normativa a cui fare riferimento è l’articolo 90 Tuel e l’applicazione, al caso di specie, dell’articolo 110 Tuel è da ritenersi impropria». Ne prendiamo atto. Conseguentemente, sarà predisposta l’ordinanza di revoca». Crash.
Neppure una parola di scuse, mai la parola «errore», tantomeno un «abbiamo sbagliato». C’è tutta la turbo-retorica grillina. Trasparenza. Casa di vetro. Cittadini. È il generatore automatico di comunicati a 5Stelle. Applausi? No, fischi. Il ciarpame narrativo degli adepti del comico è giunto a fine corsa. Governano, è cambiato tutto. E sono smarriti, rabdomanti che cercando con un pezzo di legno l’acqua nel deserto. Avevamo scritto che la giunta della Capitale sarebbe stata la prova della (in)capacità di governo del grillismo, siamo già oltre l’immaginato. Due mesi sono stati sufficienti per vedere i clan a 5Stelle dilaniarsi in lotte di potere e sottopotere, il familismo applicato all’amministrazione, lo scavalcamento delle regole, la propaganda becera e le furbesche campagne sui social come strumento di distrazione di massa, la spazzatura sparita nei giorni di Ferragosto, con la città vuota, che prontamente riappare quando la città si riempie, il piano dei trasporti annunciato come un miracolo che non c’è, l’arroganza e l’ambiguità messe in mostra sul dossier olimpico, la scelta strategica di un paese nelle mani di una fazione di allievi del clown che, alla prova del governo, si frantuma e si capisce, perbacco, che può ritrovarsi solo con il no a tutto e il vaffa di massa, cifra del suo stile, ambiente naturale in cui sguazza e rotola, unico programma per il futuro.
È settembre, è cominciato il lungo autunno dei penstastellati. Cadranno, come le foglie.