Beppe Grillo da Vespa, Renzi e Tasi: prime pagine e rassegna stampa

di Redazione Blitz
Pubblicato il 20 Maggio 2014 - 08:35 OLTRE 6 MESI FA

Il Corriere della Sera: “Tasi, rinvio per le città in ritardo”. Milizie libiche, miopia italiana. Editoriale di Franco Venturini:

Con il suo gusto della provocazione Stalin chiedeva quante divisioni avesse il Papa, ma oggi, nel caos libico che è tornato ad infiammarsi, non è per nulla retorico domandarsi quante milizie abbia il generale Khalifa Haftar.
In Libia è facile conquistare la ribalta del grilletto, non esiste il monopolio della forza perché non esiste lo Stato. Ma poi, fatalmente, giunge il momento di fare la conta: chi appoggia Haftar, quanti uomini ha, e quali mezzi? Nel puzzle di armi e petrolio che è oggi la Libia non vai lontano se non vinci questa gara a chi è più forte. Per questo è importante che la base aerea di Tobruk e le truppe speciali di stanza a Bengasi si siano schierate con Haftar. Per questo è un segnale che la milizia di Zindan (la più numerosa dopo quella di Misurata) si stia coordinando con il generale. E per questo contano gli appoggi che Khalifa Haftar dovrebbe aver maturato negli Usa e in Egitto: negli Usa vivendoci a lungo dopo aver rotto con Gheddafi, in Egitto perché il maresciallo Fattah al Sisi, che sarà eletto presidente tra una settimana, dopo Morsi vuole colpire tutti i Fratelli Musulmani, compresi quelli che crescono al di là del confine libico.
Forse è proprio pensando all’Egitto e agli Usa che Khalifa Haftar ripete ad ogni occasione di «voler liberare la Libia dagli islamisti». Ma gli ostacoli restano formidabili. L’Algeria ha fatto sapere che interverrà qualora forze egiziane superassero il confine. Il sud della Libia è popolato da guerriglieri qaedisti che combattono nel Sahel. Alcune autorità di Tripoli hanno chiesto proprio agli islamisti di difendere la capitale. E un fantomatico governo ha sospeso il primo ministro appena designato e sciolto il Parlamento. Davanti a un simile rompicapo Haftar avrà i mezzi per prevalere, oppure sarà guerra civile su larga scala?

La tassa delle Beffe, le false Promesse del Fisco. L’analisi di Enrico Marro:

E anche gli inquilini dovranno far fronte a una nuova tassa, la Tasi, sui servizi indivisibili: illuminazione pubblica, polizia municipale, eccetera. Ma le salate addizionali Irpef che cosa le paghiamo a fare? Ci avevano detto, anzi è scritto nella legge di Stabilità, che per il pagamento della Iuc (Tasi, Imu e Tari) i Comuni avrebbero inviato a casa dei contribuenti i bollettini precompilati. E non è vero. I tecnici del ministero dell’Economia avevano preparato il relativo provvedimento, che però è rimasto, chissà perché, nel cassetto. Forse si sono resi conto che tantissimi Comuni non sarebbero stati in grado di fare i calcoli e spedirli in tempo, col rischio di una montagna di ricorsi. Eppoi dovremmo credere che dal 2015 il Fisco ci manderà a casa addirittura la dichiarazione dei redditi precompilata?
Ci avevano detto che il nuovo sistema sarebbe stato all’insegna della semplificazione e del federalismo. E non è vero. Il governo Letta, estenuato da un pressing di mesi dell’allora Pdl che pretendeva l’abolizione dell’Imu sulla prima casa, si inventò una nuova tassa, la Iuc (imposta unica comunale) che ne nasconde tre: due vecchie, l’Imu e la Tari (tassa sui rifiuti) e una nuova, la Tasi appunto. Un gioco delle tre carte che cela un aumento del prelievo complessivo. Tanto è vero che mentre nel 2013 il gettito Imu era stato di 20 miliardi, per il 2014 quello di Imu+Tasi oscillerà tra i 24 e i 27 miliardi (ipotesi più probabile, visto che la gran parte dei Comuni imporrà le aliquote massime). L’ufficio studi della Uil ha calcolato che in 12 città capoluogo delle 32 che hanno fissato le aliquote si pagherà in media per la Tasi sulla prima casa più di quanto si pagava per l’Imu: dai 2 euro di Palermo agli 89 di Mantova, passando per i 64 di Milano.

L’incognita maggiore è un nuovo bipolarismo con un Sud antisistema. La nota politica di Massimo Franco:

L’ascesa dell’Italia sulla cima dell’euroscetticismo era prevedibile: anche se attribuirla soprattutto alla crescita del Movimento 5 Stelle forse sottovaluta una lunga incubazione dentro altre forze politiche; e l’impatto che la crisi economica e il calo dell’occupazione, tornata ai livelli di undici anni fa, stanno producendo. L’aspetto nuovo, sottolineato dall’Istituto Carlo Cattaneo di Bologna nella sua inchiesta su diciotto nazioni europee, è il trasferimento di una tematica alimentata per anni dalla Lega Nord verso un Beppe Grillo che potrebbe fare il pieno di voti in primo luogo nel Mezzogiorno.
D’altronde, scontento e rabbia sono più marcati in un’Italia meridionale dove la disoccupazione giovanile non è al 43 per cento nazionale, ma più alta; e dove il radicamento dei partiti tradizionali ha lasciato il posto ad una frammentazione figlia di lotte tra gruppi di potere. Per questo, nelle elezioni europee del 25 maggio si intravede non solo un potenziale bipolarismo tra il Pd del premier Matteo Renzi e il grillismo antisistema. Rischia di accentuarsi anche la spaccatura tra Nord e Sud del Paese sia sulle percentuali dei votanti, sia sui partiti premiati e puniti.
La crescita delle forze ostili all’Europa è abbastanza uniforme. Eppure, si tenta di accreditare un’area mediterranea stremata dalle misure di austerità, e dunque più ostile all’Ue. Il tema è poco dibattuto, in Italia. Soprattutto in quest’ultima settimana di comizi e apparizioni in tv, è sovrastato dagli insulti che Grillo continua a riservare a Renzi, a Silvio Berlusconi, e a un capo dello Stato del quale già chiede le dimissioni, in attesa di una vittoria alla quale mostra di voler credere.

La prima pagina de La Repubblica: “Minacce e insulti. Grillo va in tv. Duello con Renzi”.

Il Fatto Quotidiano: “Grillo attacca gli 80 euro da Vespa: voto di scambio”.

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Il Giornale: “Casa Renzi è un bordello”. Tra Matteo e i mercati la luna di miele è finita. Editoriale di Marcello Zacché:

La luna di miele tra i mercati e il pre­mier Renzi è finita. Ne abbiamo avu­to un assaggio giovedì scorso, con il crollo della Borsa del 3,6%e l’impen­nata di 30 punti dello spread. Poi, dopo il timi­do recupero di venerdì, anche ieri gli indicato­ri sono stati negativi. Soprattutto lo spread, il differenziale tra i rendimenti dei Btp e quelli dei Bund tedeschi, tornato alla pericolosa quota 180. Sarebbe però superficiale addebi­tare solo al governo italiano le forti vendite di questi giorni in Piazza Affari. Ieri a soffrire sono stati tutti gli spread d’Eu­ropa: dalla Spagna, passata da 160 a 165, al Por­togallo, da 236 a 248, fino alla Francia, che nel suo piccolo è salita da 44 a 46. Segno che il mo­vimento, sui mercati, è molto ampio. E il mes­saggio chiaro: a cinque giorni dalle elezioni europee, il timore di una forte ondata anti-eu­ropeista ( e anti-euro) ha risvegliato negli inve­stitori le peggiori inquietudini di questo de­cennio.

La Stampa: “Tasi, nei comuni in ritardo la rata slitta a settembre”.