Berlusconi, decadenza e Giunta. Siria e Quirico: prime pagine e rassegna stampa

di Redazione Blitz
Pubblicato il 12 Settembre 2013 - 08:34 OLTRE 6 MESI FA

Il Corriere della Sera: “Gli industriali: aiutare la ripresa.” Chi ha paura della riforme. Editoriale di Michele Ainis:

“Il finimondo è un numero a tre cifre: 138. Scritto con un pennarello nero sulle mani sventolanti dei grillini, agitato come un altolà da quanti s’oppongono al disegno di riforma, o al contrario usato a mo’ di grimaldello per forzare la serratura della Costituzione. Sicché è guerra sulle regole, tanto per cambiare. Però stavolta la guerra investe il «come», non il «cosa». Perché l’articolo 138 detta le procedure per correggere la Carta. E perché in questo caso il Parlamento sta applicando il 138 per introdurre una procedura in deroga al medesimo 138. Da questa seconda procedura nascerà (forse) la riforma. Ma c’è già chi la reputa illegittima, al di là dei suoi eventuali contenuti. Per il metodo, prima ancora che nel merito. Cominciamo bene.
Messa così, verrebbe da dire: lasciate perdere. Tornate alla via maestra del 138, senza cercare scorciatoie. E guardate alla sostanza, piuttosto che alla forma. Tanto più se la forma diventa un elemento divisivo, quando ogni riforma costituzionale andrebbe viceversa condivisa. D’altronde non è forse vero che l’articolo 138 incarna la sentinella della Costituzione? Vero, al punto che un celebre paradosso (quello di Alf Ross) lo dichiara immodificabile. Ma sta di fatto che noi italiani abbiamo già sfidato un paio di volte il paradosso: nel 1993 e nel 1997, quando due leggi costituzionali battezzarono altrettante Bicamerali, e dunque un procedimento specialissimo per rovesciare come un calzino usato la Carta del 1947. Senza barricate in Parlamento, né tumulti nelle piazze. Però magari a quel tempo eravamo un po’ distratti.”

Bot, sui tassi in rialzo il peso dell’incertezza. Oggi controprova Btp. L’analisi di Stefania Tamburello:

“Per gli operatori non è stata una sorpresa, le aste dei Bot ieri sono andate secondo le attese del mercato.
Anche per quel che riguarda il rialzo dei tassi, saliti per gli annuali all’1,34% lordo (lo 0,29% in più dell’asta di metà agosto, al massimo da dicembre scorso) che diventa l’ 1,1% al netto delle imposte. E per i trimestrali allo 0,51% lordo, e 0,46% netto, più del doppio della precedente asta di aprile.
In questi giorni, certo, i tassi sembrano essere in tensione un po’ ovunque sotto la pressione dei timori, attenuati ma non ancora scomparsi, di un intervento militare in Siria e delle attese per la fine della politica espansiva della Federal Reserve americana. Sui titoli italiani però pesa anche l’incertezza politica, o meglio il senso dell’instabilità legata ai destini del governo Letta, messo in pericolo dalla decisione parlamentare sulla decadenza del leader del Pdl Silvio Berlusconi. Così lo spread Btp-Bund sulla scadenza decennale, ieri a quota 252, dopo essere sceso a 248, è rimasto ancora due punti sopra al differenziale dei Bonos spagnoli che hanno confermato il sorpasso incassando un premio per la maggiore stabilità di governo. «I tassi di interesse continuano a soffrire» ha commentato il presidente del Consiglio Enrico Letta. «L’instabilità politica si riflette sugli spread», ha insistito il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni.”

Decadenza, salta subito la «tregua» Sui tempi duello tra alleati. Scrive Dino Martirano:

“Al Senato, nelle stesse ore, la crisi che molti ormai vedono dietro l’angolo ha avuto due ribalte. Quella dell’ennesimo scontro tra Pd e Pdl sui tempi della decadenza di Silvio Berlusconi e quella di un duro richiamo alla realtà da parte del presidente del Consiglio: «L’instabilità costa miliardi al Paese», ha infatti detto Enrico Letta in Aula durante la sua relazione sul G20 di San Pietroburgo.
La tregua apparente, dunque, è durata lo spazio di un mattino. Dopo l’accordo sulla procedura raggiunto l’altra notte nella giunta delle Elezioni — l’organismo che deve decidere sulla convalida o sulla decadenza di Silvio Berlusconi condannato a 4 anni per frode fiscale — gli animi si sono nuovamente accesi nell’ufficio di presidenza che avrebbe dovuto stilare il calendario delle sedute. Pd e Pdl non comunicano più: i democratici (incalzati dal M5S) hanno chiesto che il voto sulla relazione di Andrea Augello del Pdl (convalida dell’elezione di Berlusconi) venisse votata entro questa settimana, mostrando però di tollerare uno slittamento fino a lunedì o martedì della prossima settimana. Proposta, quest’ultima, condivisa da Bendetto Della Vedova di Scelta civica che già tanto si era speso per costruire il lodo capace di mettere tutti d’accordo sulla formulazione del dispositivo della relazione Augello.”

Maggioranze variabili. La nuova insidia sulla strada del governo. La nota politica di Massimo Franco:

“All’ombra di una crisi annunciata ma rinviata insieme con la decadenza di Silvio Berlusconi da parlamentare, perché nessuno per ora vuole aprirla, stanno spuntando le maggioranze variabili. Il punto interrogativo, per Enrico Letta, è se e quando si trasformeranno in coalizioni alternative a quella trasversale che sostiene il suo governo: perché a quel punto l’esecutivo imploderebbe. Sotto questo aspetto, Pd e Pdl mostrano tentazioni simmetriche. E sembrano seguire un istinto irresistibile a distinguere le proprie posizioni da quelle di un alleato che al fondo continua a essere percepito come un avversario, e dunque fa aumentare la frustrazione. L’asse fra il partito di Guglielmo Epifani e di Beppe Grillo nella commissione delle Elezioni e le immunità del Senato che deve pronunciarsi sul Cavaliere è significativo: anche se non è chiaro se la loro rigidità, oltre ad abbattere Berlusconi, punti anche a travolgere Letta. E il voto in commissione Giustizia di ieri sulla responsabilità disciplinare dei magistrati, promosso dal presidente berlusconiano Nitto Palma, che ha visto un’alleanza fra Pdl, Lega e Scelta civica, evoca una maggioranza alternativa.”

 La Stampa: “Letta: l’instabilità costa miliardi.” Rischio-frana sotto la crescita. Editoriale di Francesco Manacorda:

“Se Enrico Letta avverte che il prezzo immediato di una crisi della maggioranza che regge il suo esecutivo rischia di essere oltre un miliardo in maggiori interessi da pagare sul debito pubblico italiano, ci può essere la tentazione di considerare il suo allarme influenzato dal pur legittimo desiderio che il premier ha di continuare l’esperienza di governo. Ma se nello stesso giorno messaggi simili arrivano anche dalla Confindustria – che vede finalmente segnali di miglioramento dell’economia ma che avverte appunto del rischio di instabilità politica – e dal presidente della Commissione europea José Manuel Barroso, secondo cui «il maggior rischio al ribasso è quello politico, dell’instabilità», allora diventa più difficile archiviare le parole di Letta come una semplice mossa di sopravvivenza politica. E se poi nelle stesse ore l’asta dei Bot annuali si chiude con il rendimento più alto dalla fine del 2012 e doppio rispetto a quello di maggio, allora la percezione di un allarme anche internazionale sulla tenuta dell’Italia e sui costi che una crisi politica potrebbero avere, assume la concretezza delle cifre.”

“La rivoluzione ha perso il suo onore.” Il racconto di Domenico Quirico:

Gli uomini che mi avevano rapito, appartenenti a un altro gruppo di ribelli, Al Faruq, avevano bisogno di un altro rifugio, la casa dove ormai da più di un mese ero tenuto prigioniero era sotto il tiro di Hezbollah e dei soldati di Bashar al Assad che stringevano, implacabili, il cerchio attorno alla preda. Avevo paura di non vederlo tornare la sera, il viso con un che di silenzioso ardore represso: era quello tra i terroristi che parlava meglio l’inglese, si fermava spesso dopo la preghiera a chiacchierare e i suoi compagni facevano, curiosi, crocchio intorno a noi. I «terroristi»: sì, ma i soli che trattavano con dignità me e il mio compagno di prigionia Pierre Piccinin, politologo, storico e giornalista per meriti di guerra, per averla vissuta e raccontata sul campo, senza violenze e umiliazioni. Ahmed ci ha raccontato la sua storia. La sua rivoluzione è iniziata disertando e unendosi a una brigata di combattenti della Armata siriana libera, studenti soprattutto che lottavano per un paese senza Bashar, dove tutte le confessioni e tutte le etnie trovassero posto e parità. Il padre di Ahmed è stato giustiziato dai soldati per vendicare la sua diserzione.”

Saluzzo, parla il test chiave: “Il suicidio di Paola coperto da un patto del silenzio”

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Il Fatto Quotidiano: “Prendono tempo per reclutare franchi tiratori.” “Cavillo e cavaliere.” Editoriale di Marco Travaglio:

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“Una volta era tutto più facile: le leggi gliele scrivevano su misura Craxi & C., poi passavano alla cassa. Dunque gli era davvero difficile violarle. Però ogni tanto capitava lo stesso, allora lui mandava Previti dal giudice con una busta o un bonifico estero su estero, e il processo finiva lì. Poi purtroppo Craxi & C. si fecero beccare, i giudici corrotti finirono dentro e quelli corruttibili iniziarono a scarseggiare. Non gli restava che scendere in campo per farsi le leggi da solo. “Se non entro in politica finisco in galera e fallisco per debiti”, confidò a Biagi e Montanelli. E fu di parola. In galera non ci finì grazie a una raffica di leggi à la carte.”

Il Giornale: “Berlusconi resterà in campo.” Editoriale di Alessandro Sallusti:

Chiudendo ieri a Sanremo «Controcor­rente », la sei giorni di dibattiti organiz­zata dal Giornale , il segretario del Pdl Angelino Alfano ha sbarrato le porte a chi immagina che gli effetti della sentenza Media­set, qualunque siano, metteranno Silvio Berlu­sconi fuori dalla politica. Non tutte le libertà so­no comprimibili per legge o con l’uso della forza. E non lo è certo quella di continuare a essere il lea­der del più grande partito italiano. Si metta quin­di il cuore in pace il giovane Renzi, che sempre ie­ri e da Porta a Porta ha parlato per Berlusconi di «game over», fine dei giochi. Chissà perché – lo ha ricordato anche Alfano – quando uno di sini­stra intravede la possibilità di diventare il capo del Pd assume il ruolo del carnefice di Berlusco­ni, del servo stupido dei magistrati, del giustiziali­sta a oltranza. Altro che «battere Berlusconi per via elettorale», come Renzi sosteneva fino a po­che settimane fa per smarcarsi dalla marmaglia di sinistra e ingraziarsi gli indecisi di centrode­stra. L’idea di confrontarsi nell’urna con il giagua­ro di bersaniana memoria fa paura anche a Ren­zi, quindi meglio che i magistrati e i comunisti ri­solvano la questione in altro modo.
Renzi rischia di fare così la stessa fine dei suoi predecessori, che da Occhetto in poi si sono con­ce­ntrati su come togliere di mezzo Berlusconi in­vece che sui problemi degli italiani..”