Berlusconi, Ue e Letta, Travaglio e Gramellini: prime pagine e rassegna stampa

di Redazione Blitz
Pubblicato il 18 Giugno 2013 - 08:29 OLTRE 6 MESI FA

Il Corriere della Sera: “Affondo di Berlusconi: L’Italia sfiori il patto Ue.” Il vero partito mancato. Editoriale di Michele Salvati:

“Viviamo in un regime non di «partito unico», ma di «unico partito». Con tutti i suoi difetti, la sola organizzazione politica che assomiglia ai grandi partiti di un tempo è il Pd, radicato nella società sia a livello nazionale che a livello locale, con legami articolati nello Stato e nelle pubbliche amministrazioni, con diffuse capacità di reclutamento di quadri tecnici in grado di cooperare a funzioni di governo, con una connotazione ideologica sufficientemente chiara. I difetti (… un grande partito, non un vero partito) li vedremo subito, e sono profondi. Ma assai più grandi sono quelli delle altre organizzazioni politiche. Il fallimento della Seconda Repubblica, al di là delle politiche inadeguate che ha adottato, sta nel non essere riuscita a creare un secondo grande partito, un secondo stabilizzatore politico, dotato delle stesse caratteristiche del primo, così risolvendo un problema di fondo della nostra democrazia: l’assenza di un grande partito di destra democratica.
Berlusconi aveva le risorse di consenso necessarie a creare una grande e stabile destra liberal-conservatrice, che nel tempo si rendesse autonoma dal carisma del suo fondatore. Non ha voluto o potuto guidare il delicato passaggio dal carisma all’istituzione; in ogni caso, non ci è riuscito. Ancor oggi, o scende in campo il suo attempato fondatore, o la destra balbetta e perde, anche se una «domanda di destra» è forte nella società. Delle altre organizzazioni politiche non vale la pena di parlare. O sono il frutto di vecchi radicamenti ideologici e di domande circoscritte localmente e settorialmente, o sono partiti e movimenti ancor più personali e carismatici del Popolo delle libertà, funghi che nascono nel terreno irrigato dall’indignazione diffusa, alternative episodiche all’astensionismo e al rifiuto della politica.”

Le critiche del Cavaliere si possono rivelare un’arma a doppio taglio. La nota politica di Massimo Franco:

Non è chiaro se Silvio Berlusconi voglia creare difficoltà a Enrico Letta che è in Irlanda per il vertice del G8; oppure se la sua nuova uscita contro le istituzioni di Bruxelles gli serva per presentarsi come regista di una futura svolta nella politica economica. L’impressione è che Palazzo Chigi non abbia gradito le parole estemporanee dette ieri dal leader del centrodestra in visita a una casa di cura a Pontida, vicino Bergamo. La tesi, peraltro già espressa nel recente passato, è che «chi va su» non dovrebbe «sbattere i tacchi di fronte a queste autorità di Bruxelles», liquidate con parole rudi; e che l’Italia deve ignorare i limiti del «contratto fiscale».

«Il governo dica: il limite del 3 per cento all’anno ve lo potete dimenticare», esorta Berlusconi. «Ci volete mandare fuori dalla moneta unica? Fatelo. Ci volete mandare fuori dall’Europa? Vi ricordiamo che noi versiamo 18 miliardi di euro l’anno e ce ne ridate indietro solo 10». Non è solo il merito delle sue dichiarazioni ma soprattutto il metodo a lasciare perplesso il premier: tanto più perché l’attacco arriva mentre Letta accredita un’Italia decisa a proseguire un’azione concordata con gli alleati.
Per questo la presidenza del Consiglio ha subito diramato una nota ufficiale ribadendo gli impegni confermati appena tre giorni fa al presidente della Commissione Ue, Josè Manuel Barroso. E a ruota è arrivato il monito del commissario agli affari economici, il finlandese Olli Rehn, per il quale tornare indietro non si può. Il fatto che Berlusconi citi come prova delle bontà delle critiche l’esperienza avuta in nove anni da premier, in realtà, è a doppio taglio. Il segretario del Pd, Guglielmo Epifani, gli ha ricordato che è stato lui, allora a capo del governo di centrodestra, a subire le regole dell’Ue, imponendole all’Italia addirittura in anticipo; e come sia stato sconfitto e costretto alle dimissioni proprio per l’incapacità di raccordarsi con l’Europa.”
Nel 2013 cinque euro, poi dieci. Ecco i risparmi sulla bolletta. L’approfondimento di Antonella Baccaro:

“Quattro-cinque euro annui in meno sulla bolletta della luce del 2013, il doppio l’anno prossimo. Tanto dovrebbe valere per le famiglie italiane (che ogni anno pagano in media 511 euro di luce) la riduzione, pari a 550 milioni, del prezzo dell’energia elettrica, deliberata dal governo Letta nel decreto «Fare».
Il condizionale è d’obbligo, visto che ieri i tecnici dei ministeri competenti erano ancora al lavoro per «cifrare» il decreto e nelle ultime ore è circolata l’indiscrezione di 150 milioni di euro, di cui ora dispone l’Erario, provenienti dalla cosiddetta componente A2 della bolletta (oneri per la messa in sicurezza del nucleare), e che potrebbero essere destinati al taglio delle bollette. Se queste risorse fossero risorse aggiuntive, genererebbero un ulteriore sconto quest’anno di due euro, ma potrebbero anche essere soltanto sostitutive di qualche altra voce.
Pericolo in vista. Il piccolo risparmio, messo a punto dal governo, potrebbe però essere totalmente vanificato se l’esecutivo concederà, con un imminente provvedimento, gli sconti previsti dal governo Monti alle imprese energivore, che valgono esattamente 600 milioni e che ricadrebbero sulle bollette degli italiani.
La Robin tax. Ma andiamo per ordine. Il decreto «Fare», nella versione entrata in Consiglio dei ministri sabato scorso, prevedeva un mix di misure per ridurre il prezzo dell’energia elettrica. Si partiva dall’estensione della Robin tax dalle imprese che producono energia da fonti rinnovabili con ricavi superiori a 10 milioni di euro e un reddito imponibile a un milione di euro a quelle con ricavi superiori a 500 mila euro e un imponibile superiore a 80 mila euro. Proprio questa norma sarebbe saltata perché l’intento del governo sarebbe quello di fare una riflessione più ampia sul tema delle rinnovabili.”

Comunicazione e parlamentarie I nodi irrisolti del Movimento. L’analisi di Emanuele Buzzi:

“Oltre i teoremi del complotto, al di là della forza dello scontro, i Cinquestelle ieri si sono soprattutto drammaticamente guardati allo specchio. L’assemblea e la preriunione al Senato sono state un’occasione per far emergere non solo le tensioni, ma anche elementi di autocritica che serpeggiavano già nelle ultime settimane. I nervi scoperti hanno messo in luce alcuni aspetti della strategia «da rivedere», come commentano alcuni. Non solo i dissidenti hanno avanzato dubbi e criticità, ma la discussione — interna via web e tramite i media — ha focalizzato l’attenzione su dei talloni d’Achille. Anzitutto sul banco dell’accusa finisce la comunicazione. Stavolta c’è anche chi la nomina in assemblea in diretta streaming, come un fantasma da esorcizzare.
«È come se stessimo facendo tra chi sta con Beppe Grillo e chi con la nostra collega — dice il senatore Enrico Cappelletti —. È una cosa assurda, inaccettabile, che non ci fa uscire vittoriosi dal punto di vista della comunicazione». Croce, per il momento, più che delizia del Movimento. Un nodo che ora viaggia su due binari diversi. Da un lato, i rapporti con i media, la presenza in televisione su cui hanno fatto autocritica anche Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, organizzando dei corsi a Milano (che proseguiranno anche nei prossimi mesi). Dall’altro, la comunicazione «diretta» con il leader. Grillo, tra blitz in Parlamento e ritiri nella campagna romana, è riuscito a mantenere per ora un filo diretto, un meeting con cadenza mensile. Forse, come lamentano fonti vicine al Movimento, «la sua presenza è troppo importante per essere sporadica». Insomma, a briglie sciolte i parlamentari sono incappati in qualche scivolone di troppo. Una maggiore presenza del capo politico dei Pentastellati servirebbe, di fatto — secondo alcuni parlamentari — per chiarire i contrasti e ricompattare il gruppo su malintesi e incomprensioni che spesso si trascinano in riunioni fiume. Altro punto di riflessione (anche se non toccato direttamente dalle discussioni di questi giorni) la Rete.”
La prima pagina de La Repubblica: “Obama-Europa: patto sul lavoro.”
La Stampa: “Berlusconi attacca Letta e l’Ue.” Un mostro fiscale divide il G8. Editoriale di Mario Deaglio:
“Negli Anni Ottanta e Novanta le riunioni del G8 si tenevano nelle grandi città o nelle loro immediate vicinanze: i governi ospitanti erano fieri di mostrare le bellezze di Tokyo, Londra, Venezia, Toronto. Con l’aumento mondiale delle tensioni sociali – e dei divari nella distribuzione dei redditi – queste riunioni tra grandi si svolgono ormai in luoghi isolati, difficili, se non impossibili da raggiungere da parte di manifestanti ostili. Così è per Lough Erne, incantevole e sperduta località dell’Irlanda del Nord il cui nome, secondo la leggenda, ricorda una bella dama che vi cercò rifugio, terrorizzata da un gigante uscito da una caverna.

Gli otto capi di governo che partecipano all’incontro, nella quiete del lago e dei boschi, sfuggendo alle folle, hanno probabilmente potuto, guardandosi negli occhi, individuare anch’essi una comune paura.”

“Cittadina realtà”, il Buongiorno di Massimo Gramellini:
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“Salve, cittadino Cinquestelle, sono un disoccupato senza casa e pieno di debiti, deluso dai partiti che pensano soltanto ai fatti loro. Voi invece siete qui per aiutarmi, giusto?». «Puoi dirlo forte, cittadino disoccupato senza casa e pieno di debiti. Noi ci occupiamo dei problemi veri del Paese…”

E Washington chiede a Letta di salvare la Libia dal caos. Articolo di Antonella Rampino:

“Training per alcune migliaia di poliziotti e militari in Sicilia e Sardegna. Institution building, a partire da i codici civili e penali in versione attualizzata. Formazione e tecnologie per il controllo delle frontiere. E anche, per ora allo studio, un progetto-pilota per la riconsegna delle armi da parte di alcune fazioni, sul modello seguito in Mozambico, cui particolarmente tiene il ministro degli Esteri Emma Bonino. Sono le linee-guida del «piano per la Libia» che ieri Enrico Letta ha annunciato a Barack Obama, e di cui oggi ai margini del G8 parlerà con l’attuale capo del governo libico Ali Zidan. Un piano che coinvolge anche la Gran Bretagna, che parteciperà alla formazione delle forze di sicurezza su alcune isole britanniche. Al di là delle iniziative, per le quali i fondi sono già in bilancio della Farnesina, c’è anche una vera e propria road map politica: Zidan sarà a Roma il 4 luglio, e si spera che per quella data vi sia a Tripoli un governo saldamente in carica.”

Il Fatto Quotidiano: “Riciclaggio e patti violati. E’ il caimano di Governo.” Scalfaroni, editoriale di Marco Travaglio:

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“Lunga la strada, stretta la via, ma la marcia è cominciata”. Così, con un titolo alla Wertmüller (Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto) o alla Arbore (Ffss: cioè che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene?), uno Scalfari strapazzato da anomala passione celebra il governo in una memorabile articolessa su Repubblica, affiancata da un imperituro titolone sul decreto del fare, ma soprattutto del dire e del baciare: “Letta: ‘ 80 misure per ripartire’”. Sono belle cose. Soddisfazioni. Uno guarda ‘ sto Letta, così smunto e gracilino, magari pensa a Berlusconi e Brunetta che gli scrivono i testi, e tutto immagina fuorché “80 misure per ripartire”. Invece zac! eccole qua, l’una in fila all’altra. Merito anzitutto di Saccomanni, che “non è semplicemente un banchiere”: no – assicura Scalfari – “è anche dotato di fiuto politico” ed è un po ’ come la Dea Calì: “ha contatti con le altre Banche centrali, il Fondo monetario, la Banca dei regolamenti, la Banca europea degli investimenti, la Commissione di Bruxelles e soprattutto la Bce di Draghi”, sempre sia lodato.”
Il Giornale: “Berlusconi rompe il tabù.” L’unica bestemmia proibita. Editoriale di Vittorio Macioce:

“A quanto pare non si può bestemmiare l’Europa,questa Euro­pa. Non si può neppu­re criticare, dubitare, riflettere, scantonare. Non si può perché gli uomini in grigio si offendo­no. È lesa maestà. È attività sov­versiva e anti tecnocratica. E in questo secolo di disillusi è l’ulti­mo tabù. O forse, come spesso accade, è solo un luogo comu­ne. O paura. La paura di restare senza alibi. Di non farcela, di pentirsi, di non far parte del club delle grandi nazioni, di sen­tirsi soli. O paura che i tedeschi si vendicheranno, dimentican­do che la signora Merkel magari ha un brutto carattere ma non ha baffi e svastiche. Fatto sta che di Europa non si può parlare. Non a voce alta. Non a Pontida, sostenendo quello che ormai molti pensano. L’Europa è un problema. Lo è adesso, se non cambia, se non svolta, se non si toglie la giacca, se non ha il co­raggio di mescolare a patti e trat­tati un po’ di buon senso. Berlusconi ha detto che il go­verno non deve battere i tacchi davanti agli uomini dell’Unio­ne. «Il limite del 3% all’anno e del fiscal compact ve lo potete di­menticare. Ci volete mandare fuori dalla moneta unica? Fate­lo. Ci volete mandare fuori dalla Ue? Vi ricordiamo che versiamo 18 miliardi l’anno e ce ne ridate solo 10». Scandalo. Parla il com­missario europeo Olli Rehn. E scuote le spalle. Ecco Enrico Let­ta che rassicura tutti dal G8 di Belfast. Epifani, segretario pre­cario del Pd, si indigna: così in­debolisce l’Italia. Qualcuno par­la di euroscetticismo suicida.”