Carlo De Benedetti king maker di ministri. Pansa: business o Ruby a costo zero?

di Redazione Blitz
Pubblicato il 20 Febbraio 2014 - 08:00 OLTRE 6 MESI FA
Carlo De Benedetti king maker di ministri. Pansa: business o Ruby a costo zero?

Carlo De Benedetti king maker di ministri. Pansa: business o Ruby a costo zero? (foto Lapresse)

ROMA – L’indiscrezione di Fabrizio Barca, che ha attribuito al “paròn di Repubblica” cioè a Carlo De Benedetti fastidiose pressioni perché lo stesso Barca diventasse ministro dell’Economia, ha scatenato Libero e il Giornale.

Su Libero, Giampaolo Pansa, che conosce abbastanza bene Carlo De Benedetti per essere stato vice direttore di Repubblica e dell’Espresso, ha scritto:

“L’Ingegnere, ossia Carlo De Benedetti, è davvero in grado di decidere come sarà il governo Renzi? Lo sosteneva ieri il titolo della prima pagina di Libero. Ma non credo che sia così. Piuttosto ritengo che Cidibì abbia soltanto una gran voglia di mettere la propria impronta sulle caselle più importanti del nuovo esecutivo, a cominciare da quella dell’Economia.

Il perché lo dice la storia stessa dell’Ingegnere. Anche se tra il volere e il potere corre una distanza abissale. Nel novembre del 2014, De Benedetti compirà 80 anni. L’aspetto è di un signore fatalmente invecchiato, ma neppure tanto. Si è inciccionito ed è diventato massiccio. Le guancione tutto sommato gli giovano perché ricordano quelle di un bulldog, pronto ad azzannare.

L’Ingegnere sa essere al tempo stesso accattivante e brutale. […] Se gli capita di essere intervistato, si abbandona al piacere di parlare. Ma così i suoi giudizi diventano imprudenti e gli scappano di mano. Allora può ricevere repliche altrettanto brutali. Di questi incidenti a De Benedetti importa poco. Ed è portato a dimenticare che in più di un caso ha perso: alla Fiat, al Banco Ambrosiano, nella spedizione in Belgio, nella contesa per il possesso dell’intera Mondadori.

Ma rivangare il passato è un esercizio sterile. E non ci aiuta a comprendere la figura attuale di un protagonista. Oggi l’Ingegnere incarna il grande potere di Repubblica. La sua forza deriva dalla proprietà del Gruppone, l’impero editoriale che lui possiede e governa.

Nel Gruppone ci sono Repubblica, l’Espresso, la rete robusta dei quotidiani provinciali, le radio, i siti internet, i primi esperimenti di tivù, con tutti gli annessi e connessi. In Italia ben pochi privati hanno un dominio tanto esteso e senza soci in grado di contare.

Ma il successo non ha evitato a Cidibì di subire i colpi di una crisi che lui aveva intravisto prima di altri big della finanza e dell’impresa. Nel nostro ultimo incontro, avvenuto alla fine del novembre 2008 nel suo studio romano, l’Ingegnere si era dimostrato profetico e molto pessimista. Non si faceva illusioni. A sentir lui ci trovavamo soltanto all’inizio di un lungo ciclo di crisi, ossia in piena deflazione. Poi sarebbe arrivata la recessione. E allora avremmo visto «i disoccupati fare la fila con la gavetta in mano per ottenere un piatto di minestra». Nel novembre 2012 non aveva cambiato opinione: «La crisi durerà ancora dai tre ai sette anni».

Adesso anche il Gruppone si trova alle prese con la tempesta globale. Le sue testate primarie perdono copie su copie e quantità importanti di pubblicità. Accade in modo massiccio a Repubblica e in misura ancora maggiore all’Espresso.

Reggono meglio, così sembra, i quotidiani locali. Sono una rete senza uguali in Italia, fatta di diciotto testate. Nata da un’intuizione preveggente di Carlo Caracciolo, copre in pratica l’intero paese, dall’Alto Adige fino a Salerno. I giornali locali sono il nerbo di un impero di carta stampata che per ora non vacilla. Ma la crisi ha costretto l’Ingegnere a operare una robusta spending review. Consiste nel tagliare costi ritenuti pesanti, compreso il numero dei giornalisti. La decimazione sta avvenendo senza badare troppo alla qualità del prodotto. E soprattutto senza immaginare una strategia per il futuro. Sono giornali che vanno ripensati oppure no?

I critici di Cidibì, anche all’interno delle singole testate, sostengono che è indispensabile progettare di nuovo tanto Repubblica che l’Espresso. Sono opinioni per ora coperte, sulla base di un’elementare regola di cautela: fare la bucce al padrone è sempre rischioso. La critica più pesante prende di mira la figura stessa dell’Ingegnere.

Lui non ha creato nessuno dei giornali che possiede, ma si è limitato ad acquistarli. L’Espresso esisteva ben prima che Cidibì scendesse in campo, ossia dall’ottobre 1955. Repubblica è nata nel 1976 da un quartetto di editori che non aveva nessun rapporto con lui. Quando uno di loro, Scalfari, gli propose di diventare socio del giornale che stava progettando, De Benedetti rifiutò di far parte della compagnia.

Il suo ingresso sulla scena come proprietario totale risale all’aprile 1989, quando si era già insediato nella Mondadori non ancora conquistata da Berlusconi. Fu una svolta nella vita dei due venditori, Scalfari e Caracciolo. Loro si ritrovarono di colpo miliardari, in lire. E De Benedetti iniziò a considerarsi un imprenditore della carta stampata.

[…]

Il difetto più vistoso è la pretesa di dettare la linea politica dei giornali posseduti. Non è l’unico editore ad attuare questa continua invasione di campo. Il capitalismo non è mai un pranzo di gala dove il menù e la disposizione dei posti a tavola sono dettati da qualche consigliere illuminato. Nel capitalismo la proprietà comanda, anche sui media in apparenza liberi di fare ciò che gli pare e piace. La pressione dell’Ingegnere si vede poco in Repubblica. Mauro è un direttore coriaceo e per niente malleabile. Tra lui e De Benedetti, che lo ha voluto alla testa del giornale sfrattando Scalfari che non intendeva lasciare la direzione, esiste una sintonia politica e personale che elimina la necessità di un intervento esplicito dell’editore.

[…]

Adesso esplode il caso di Fabrizio Barca, caduto nella trappola del falso Nichi Vendola. Lui sostiene che De Benedetti lo voleva a tutti i costi al ministero dell’Economia, con un pressing insistente. L’Ingegnere ha smentito, ma non credo che Barca abbia raccontato una favola. Un tempo i potenti vicini agli ottanta cercavano di sentirsi giovani con l’aiuto di ragazze pimpanti e qualcuno lo fa ancora. Più pratico, Cidibì si ormonizza tentando di influenzare i premier incaricati. È un gioco pericoloso per la democrazia? Penso di no. L’unico vantaggio di quest’epoca confusa è che ciascuno si diverte come può. Purtroppo De Benedetti si trova di fronte un pirata senza bandiera e senza bandana, che si chiama Matteo Renzi. E che cosa accadrà non lo sa nessuno”.

Sul Giornale di Berlusconi, Marcello Zacchè ha scritto:

Le pressioni di Carlo De Benedet­ti per ottenere qualche ministe­ro amico nel prossimo governo Renzi sono presunte.C’è chi, come Fa­brizio Barca, le accredita (anche se in circostanze bizzarre); e chi come lo stesso Ingegnere nega tutto.

Ma al di là di chi ha torto e chi ragione, è difficile ed ingenuo pensare che un capitano d’industria come De Benedetti – ade­rente della prima ora al Partito demo­cratico, presidente del gruppo Espres­so da cui dipende il più rilevante orga­no di stampa della sinistra del Paese, portatore dei vari interessi industriali del gruppo Cofide-Cir (ancorché da pa­dre nobile, avendo donato le quote ai fi­gli) – si disinteressi del tutto alla forma­zione di questo esecutivo. Anche per­ché non si tratta di semplici interessi, ma di vere e proprie magagne o proget­ti dall’esito incerto.

Parliamo di attività che spaziano dall’energia, all’editoria, alle telecomunicazioni, con un sovrap­pi­ù di almeno un paio di questioni giu­diziarie. Un ministro dell’Economia sensibilizzato va da sé che sarebbe me­glio che niente; lo stesso vale per lo Svi­luppo economico, da cui dipendono l’energia e le tlc (anche attraverso sotto­segretari ad hoc, dipende appunto dal­la composizione che nascerà); comple­ta il quadro il Guardasigilli, essendoci un paio di questioni giudiziarie in so­speso.

Energia significa Sorgenia, il gruppo elettrico che ha appena dichiarato di avere un mese di cassa di vita: se per fi­ne marzo le banche non trovano un’in­tesa sulla moratoria dell’ingestibile de­bito da 1,8-2 miliardi, salta tutto. Non a caso, come ha rivelato ieri il Giornale , è allo studio di politica, industria e ban­ch­e un salvataggio di sistema delle con­trali termoelettriche, attraverso la crea­zione di una sorta di Bad Bank del­l’energia. Un progetto che può avanza­re solo con l’appoggio del governo.

Nel campo delle tlc, il gruppo Espres­so è alle prese con la fusione delle sue due frequenze digitali con le tre di Ti-Media. Un’operazione già in cantiere,che si sovrappone all’asta delle fre­quenze e che, a seconda di come si svi­lupperà, potrà avere più o meno valo­re. Nello stesso tempo un ministro ami­co nelle tlc potrebbe­riaprire il tema del­l’affollamento pubblicitario televisivo,da ridurre (danneggiando Mediaset e Rai) per favorire la carta stampata in cri­si (tra cuiRepubblicaedEspresso ).Su questo fronte pende poi la trattativa tra azienda e sindacato sullo stato di crisi (e sull’accesso ai fondi pubblici ad hoc) per i 58 prepensionamenti chiesti a Re­pubblica che hanno spaccato la reda­zione in uno scontro senza precedenti.

C’è poi il capitolo giudiziario. Dove sono almeno due le situazioni criticheper società collegate o controllate dal gruppo Cir. La prima è la vicenda della ex Genco Tirreno Power, di cui Sorge­nia ha il 39%, che oltre ad avere a sua vol­ta un debito critico di 800 milioni è fini­ta nei guai per l’indagine sulla centrale di Vado Ligure per possibile «disastro ambientale».Secondo la Procura di Sa­vona «dal 2000 al 2007 sarebbero da at­tribuire alle emissioni della centrale 400 morti».

La seconda questione è civile, e di so­li quattrini. Ma non pochi: pende sul gruppo Espresso un rischio da 225 mi­lioni (più della metà dei 490 versati nel 2013 dalla Finivest alla Cir per il Lodo Mondadori). Si tratta di una condanna del 2012 per imposte non pagate nel 1991, procedimento pendente in Cas­sazione. Secondo un recente report di Mediobanca,la sentenza minaccia le fi­nanze dell’Espresso e potrebbe pesare fino al 10% sulle quotazioni del titolo in Borsa”.

Sempre su Libero, Antonio Castro sembra pensarla un po’ diversamente da Giampaolo Pansa. Ha scritto Antonio Castro:

“Oltre 1,86 miliardi di debiti (al 31 gennaio scorso), e le banche che premono per avere dalla holding di famiglia De Benedetti, la Cir, un impegno per “coprire” subito almeno 300 milioni di euro.

Di contro la cassaforte di casa De Benedetti sarebbe disposta a mettere sul piatto “appena” 100 milioni. In più ci si mette pure la Consob, la commissione di controllo sulle società e la borsa, a fare le pulci, a chiedere chiarimenti e garanzie. Non sono giorni semplici per Sorgenia, società energetica controllata da Cir che naviga finanziariamente in acque perigliose. Giusto 48 ore fa la società – costretta dalle sollecitazioni di Giuseppe Vegas – ammetteva di avere «liquidità in cassa per appena un mese». I grillini complicano le cose e disegnano scenari complottistici e affaristici, mischiando scherzi telefonici, la nuova squadra di governo e i debiti della società. La situazione debitoria di Sorgenia è seria

L’allert preoccupato sulla breve disponibilità di cassa (30 giorni), fa seguito alla chiusura di quasi tutte le linee di credito bancarie. Il grande gruppo, messo in piedi negli Anni Novanta per cavalcare la liberalizzazione del mercato elettrico – controllato dalla famiglia De Benedetti – vive oggi gli effetti del credit crunch. Le banche chiedono (esigono) da Cir la riduzione dell’indebitamento, la repentina iniezione di denaro fresco, la revisione del piano industriale e magari la cessione di qualche asset pregiato (come Tirreno Power, la società che possiede una ventina di centrali di cui Sorgenia detiene il 39%). La difficile trattativa con gli istituti di credito (Mps, Intesa San Paolo, Unicredit, Ubi, Bpd, Banco Popolare e Mediobanca), si scatena, pubblicamente, in un momento politico molto delicato.

Sono mesi che le difficoltà finanziarie di Sorgenia rimbalzano dai report degli analisti ai giornali specializzati. Ma sarebbe rimasta una vicenda da “signori della finanza” e pochi eletti. Se non fosse che lunedì uno scherzo telefonico ha frullato tutto.

Una disastrosa telefonata burla ha rimestato la nuova squadra di governo con i debiti privati, le teorie dietrologiche con i grandi affari energetici, in un tipico minestrone all’italiana. Telefonata nella quale l’ex ministro Fabrizio Barca si è intrattenuto con un finto Nichi Vendola lamentando il pressing con cui «il paron di Repubblica» lo vorrebbe convincere a fare il ministro dell’Economia.

E nonostante le smentite tempestive di De Benedetti senior, è inevitabile che, in una gestazione tanto delicata della crisi politica, suo malgrado, venga trascinato proprio l’editore di Repubblica e l’Espresso. Lui sono mesi che ripete e ribadisce che «cinque anni fa» ha lasciato la presidenza della Cir (ai figli), e «donato, lo scorso anno la proprietà del gruppo».

Non servono neppure le querele ai giornali che lo punzecchiano. De Benedetti (Carlo, non Rodolfo che oggi presiede il gruppo Cir e Cofide), non ne può più di essere tirato per la giacchetta, non solo per i guai finanziari, ma ora anche per la composizione del nuovo governo. Già nelle settimane scorse ribadiva al Foglio di essere e voler restare lontano dagli affari di famiglia: «E’ ridicolo pensare che oggi, a 80 anni, io riprenda la conduzione del gruppo, anche perché ho totalmente fiducia nel nuovo management», scandiva per l’ennesima volta Carlo De Benedetti.

Smentita puntuta e di reazione ad un articolo in cui si ventilava che l’imprenditore si stesse nuovamente occupando in prima persona della società energetica del gruppo. Chi ci sguazza in questa minestra di affari, trame e complotti, è sicuramente il deputato del Movimento5 Stelle, Alessandro Di Battista. «Le banche che hanno ricevuto il regalo con il decreto Imu-Bankitalia», analizza su un social network l’ono – revole, «sono le stesse alle quali la Cir (Compagnie industriali riunite) di De Benedetti chiede aiuto per salvare Sorgenia (sempre gruppo De Benedetti), azienda piena di debiti».

Secondo Di Battista «Renzi è salito al colle a “cavacecio” (sulle spalle, ndr) di De Benedetti, è una marionetta di un uomo che entra in politica esattamente come Berlusconi nel 1994, con l’obiettivo di salvarsi dal crollo finanziario. B. aveva capacità mediatiche per farlo, De Benedetti no e per questo ha scelto il sindaco assenteista». Secondo i grillini, sembra di capire, Renzi al governo salverebbe il gruppo Sorgenia, magari portando in dote nuovi incentivi e premi sonanti per il settore elettrico ed energetico”.