Cécile Kyenge, partita con stile, scivolata nel cortile della politica

Pubblicato il 6 Settembre 2013 - 08:02 OLTRE 6 MESI FA
Cécile Kyenge, partita con stile, scivolata nel cortile della politica

Cécile Kyenge: come si diventa ministro in Italia

La stravagante idea buttata là da Cécile Kyenge,ministro del Governo Letta, di elimnare dai documenti i riferimenti a padre e madre, oltre a rivegliare retrogusti degni di George Orwell e oltre anche a rafforzare la sensazione che il Pd, ostaggio di minoranze come Sel e i movimenti gay, voglia fare di tutto per fare vincere Berlusconi,ha riproposto l’interesse in un ritratto che di lei ha tracciato, sul Giornale, da Giancarlo Perna.

Il racconto è educativo perché illustra il cursus honorum della nuova era, quella post Berlusconi. Il titolo potrebbe essere: “Come si diventa ministro nell’Italia di Pierluigi Bersani“. Ha scritto Perna:

“Si resta esterrefatti di fron­te al vespaio suscitato dal­la mite e gentile, Cécile Kyenge,titolare dell’Integrazio­ne. Primo ministro nero della storia italiana, Cécile ha trascor­so trenta dei suoi 49 anni nel no­stro Paese e dal 1994, dopo le nozze con un ingegnere italia­no, è nostra connazionale. Par­la bene la lingua imparata per laurearsi da noi in Medicina e specializzarsi in Oftalmoiatria, seppure le restil’inflessione del francese che è stato, con lo Swahili, la favella della giovinez­za in Congo.

“Da oscura militante del Pd emiliano, Enrico Letta l’ha pe­scata e voluta nel governo per la sua emblematicità: donna, di colore e italiana acquisita. Il pre­mier si è così tolto lo sfizio di sen­tirsi più europeo e di fare in Ita­lia quello che nei Paesi ex colo­niali­ è routine, abituati come so­no a ministri di ogni razza e reli­gione”.

La nomina di Cécile Kyenge, ricorda Giancarlo Perna,

“ha lasciato il segno. Presa a bersaglio dalla Lega, Kyenge si è sentita dare del­l’orango dal vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli. Lei si è limitata a compatire il villa­no e ha conquistato tutti, co­stringendo il dentista bergama­sco a profondersi in scuse”.

In effetti, la reazione della Kyenge agli insulti di Calderoli avevano fatto sperare nel meglio. Finalmente un politico superiore alle polemiche da cortile, che con grande stile si lasciava scivolare sulla pelle parole che sporcavano chi le aveva pronunciate. Poi invece si è lasciata andare a battute, repliche, polemiche che la hanno inesorabilmente fatta scivolare nel pollaio della politica. Se poi lo jus soli è una cosa giusta e sacrosanta, inseguire minoranze come i gay o quello di Sel per un po’ di consenso e forse forse qualche voto non appare come la migliore delle idee.

Torniamo all’articolo di Giancarlo Perna:

 “Peg­gio è andata a Dolores Valan­dro, consigliere della Lega a Pa­dova. Indignata per una notizia di cronaca -lo stupro di un’ita­liana da parte di un africano-, Valandro se l’è presa con l’incol­pevole Cécile, scrivendo su Fa­cebook : «Mai nessuno che se la stupri? Così capirebbe che si prova». Venti giorni dopo, Dolo­res è stata condannata a tredici mesi e all’interdizione per tre anni dai pubblici uffici per isti­gazione alla violenza sessuale per motivi razziali.

“Se tocchi Kyenge sei fritto. Quasi ci rimetteva le penne pure un pezzo da novanta come il professor Giovanni Sartori, osannato politologo antiberlu­sconiano del Corriere della Se­ra . Indispettito dalla Kyenge che, da quando è ministro, ripe­te a ogni occasione di volere lo ius soli (cittadinanza ai figli de­gli immigrati che nascono da noi) e che l’Italia è un «paese me­ticcio», Sartori ha scritto un arti­colo di fuoco. «Kyenge non può fare il ministro perché non sa l’italiano». Consulti il diziona­rio e vedrà che meticcio è chi na­sce da genitore bianco e uno di altra razza. Le sembra che sia dif­fuso da noi? Ridicolo. «Cosa c’entra l’integrazione con le competenze di un’oculista? A chi deve la sua immeritata posi­zione la nostra brava Kyenge?». E giù così per tre colonne.

“Il gior­no dopo, Sartori che si aspetta­va l’articolo in prima pagina, se lo ritrovò a pagina 28, relegato tra altri scritti. Una decapitazio­ne ordinata dal direttore, Ferruccio De Bor­toli, in ossequio alla correttezza politica senza neanche avverti­re il gallonato collaboratore. Sartori si infuriò: «Potrei lascia­re il Corriere ». Nulla accadde, ma si ebbe conferma dell’intoc­cabilità di Kyenge anche per personalità di rilievo e con argo­menti fondati”.

In realtà il puntuto Sartori è tornato ad attaccare la scelta della Kyenge, accomunandola alla nomina di Laura Boldrini a presidente della Camera: “Ministri per misteriosissimi poteri, Boldrini inadeguata” ha scritto.

Prosegue Perna:

“La Kyenge, per cultura e istinto, è per  meticciare la so­cietà, affiancando italiani e im­migrati, ciascuno con propri usi e valori. Kashetu Kyenge, detta Céci­le, è nata nell’ex Congo Belga (oggi Repubblica democratica del Congo) quattro anni dopo la decolonizzazione, nel 1964. Il padre, funzionario statale e ca­po villaggio, era cattolico ma an­che poligamo. Ebbe quattro mo­gli e trentanove figli. Tra questi, Kashetu, che, finite le scuole superio­ri, ricevette dal vescovo della sua città la promessa di una bor­sa­di studio per frequentare Me­dicina all’Università cattolica di Roma (l’Ospedale del Papa, Gemelli).

“Giunta nella Capita­le, la borsa di studio si era volati­li­zzata e dovette aspettare un an­no per ottenerla, vivendo nel frattempo da clandestina con l’aiuto di una rete di preti e laici. Immaginiamo che idea abbia potuto farsi dei valori occidenta­li, la giovanissima Cécile: da un lato una Chiesa cattolica che, in nome del sincretismo, tollera­va la poligamia del padre; dal­l’altro, l’Italia che poneva rego­le all’immigrazione, mentre i suoi cittadini le violavano. Co­me minimo le sarà parso che il mondo nel quale si stava instal­lando era un colabrodo facile da rimodellare.

“Dopo la laurea, si stabilì in Emilia specializzandosi in Oftal­mologia all’Università di Mode­na. Ha lavorato all’Ospedale di Santa Maria Nuova di Reggio e in uno studio privato di Novella­ra, a un tiro di schioppo da Ca­stelfranco Emilia dove abita da anni con la famiglia. Dal marito, Domenico Grispino, calabrese da sempre in Emilia, ha avuto Maisha e Giulia, di diciannove e diciassette anni. Si dice che se Domenico avesse velleità simili a quelle del padre africano, Céci­le lo inseguirebbe con un emilia­nissimo mattarello.

“Fatalmente, vista la zona, Kashetu è finita tra le braccia del Pds, poi del Pd. A livello na­zionale, l’ha adocchiata Livia Turco, dalemiana. Grazie a lei, Cécile è diventata nel 2009 con­sigliere provinciale di Mode­na. La Turco è con Napolitano, l’autrice della prima legge di contenimento dell’immigra­zione. Ma è roba degli anni No­vanta. Oggi si è convertita, co­me lo stesso Napolitano, allo ius soli per i bebè immigrati na­ti in Italia, ovvero cittadinanza immediata, indipendentemen­te che ci restino, ne ricevano la cultura e la condividano. Porta­voce di questa posizione è oggi Kyenge che Turco, ritiratasi quest’anno dal Parlamento,ha imposto a Letta.

“Nessuno nell’Ue adotta lo ius soli , come invece fanno gli Usa, Paese di immigrazione, nato e prosperato con gli emigranti. A giudicare però da ciò che è suc­cesso ai nativi americani – deci­mati e chiusi nelle riserve- lo ius soli non è l’ideale per gli indige­ni, che è quel che noi siamo qui da noi. Riflettiamoci.

“Finisco con un paio di brani tratti da un’intervista a Giulia, ultimogenita dei Grispino. Aiu­tano a capire una generazione mista:

«Qualsiasi nero che vedo per strada è come se fosse mio fratello»;

«Andare in Africa è sta­to come stare nella mia natura, non perché quella italiana non sia la mia natura,ma vivere quel­l’altra parte di me è sempre sti­molante »;

«Forse vivrò in Africa a sessant’anni quando vorrò tro­vare un po’ di pace e relax dal consumismo e capitalismo eu­ropei »”.

Qui Perna esagera un po’, dando spessore e peso alle parole di una ragazzina di 17 anni: se non è buona per andarci a letto, non è nemmeno buona per essere presa come maitre à penser.