Charlie Hebdo. Marco Travaglio contro “i servi furbi”, per la libertà

Pubblicato il 11 Gennaio 2015 - 09:28 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Sull’onda emotiva seguita alla strage di Charlie Hebdo, Marco Travaglio

1. polemizza con “i servi furbi” italiani,

2. perde l’occasione di inquadrare Charlie Hebdo in una prospettiva più ampia ricordando che in Italia, negli anni di piombo, ci sono stati più morti che per il terrorismo islamico in Europa,

3. lancia un vibrante manifesto sulla libertà di critica e stampa e espone una originale teoria sui limiti che si possono porre a quella libertà, rinunciando però a precisare chi abbia titolo a farli valere.

Gli argomenti si intrecciano e un po’ si impastano e il filo logico segue un suo percorso, partendo dalla premessa che

“difendere la libertà di espressione non significa condividere tutto quello che pensano, dicono, scrivono e disegnano quelli che se ne avvalgono. Difendere la satira senza limiti non vuol dire che chi la fa non possa avere limiti. […] Vuol dire che quei limiti non possono e non devono essere fissati per legge, con tanto di sanzione a chi li viola: fermo restando il Codice penale per punire chi commette violenze, o istiga a commetterle, ma non chi esprime un pensiero, foss’anche il più bieco e ributtante.

“Giovedì a Servizio Pubblico e venerdì sul Fatto ho ricordato come i nostri politici e i loro servi hanno risolto in Italia il secolare dibattito sulla satira: abolendola dalla Rai. Ieri un poveretto con le mèches che scrive su Libero mi ha accusato di aver fatto “senza vergogna” un “odioso paragone tra l’editto islamico e quello bulgaro”, cioè di aver messo sullo stesso piano “la vostra industrietta macinasoldi e le vostre barzellette sporche” con “la satira vera, quella degli ammazzati di Parigi”. Poi ha ripetuto la vecchia barzelletta dei programmi di Luttazzi e di Sabina Guzzanti “morti da soli” perché “non facevano ascolti” (uahahahahahah).

“Se ogni tanto capisse ciò che legge e ascolta, il tapino scoprirebbe che non ho fatto alcun paragone: “quella di Parigi è una tragedia, in Italia siamo sempre alla farsa”, ho detto”.

Qui il discorso andrebbe portato in una prospettiva diversa e forse Travaglio fa bene a non infilarcisi. Ma proviamoci: se fossimo un po’ meno “servi furbi” e pecoroni, ricorderemmo tutti i morti, centinaia, che l’Italia ha avuto per mano di terroristi, rossi e neri. Allora però, 40 anni fa, nessuna solidarietà internazionale per gli italiani, semmai lo sfottò, come quella copertina di Spiegel con la p38 adagiata su un piatto di spaghetti. E all’interno dell’Italia c’era una grande differenza rispetto alla Francia di oggi. I terroristi erano sangue del nostro sangue, molti figli di quella borghesia, di quel pezzo di establishment che sentiva il brivido della lotta armata e della sua apologia, molti di loro le parole rivoluzionarie le sentivano nel salotto di casa in indirizzi prestigiosi, o nelle facoltà di sociologia e filosofia aperte ai geometri o al cinema dove si sono proiettati film che, rivisti oggi, possono giustificare  effetti devastanti in menti fragili, allora come oggi; non erano proletari neri segregati nei casermoni di periferia, le parole di odio le hanno sentite nelle moschee, le loro chiese, dagli imam, i loro preti. Erano altri tempi. Oggi si dice che i terroristi si sono addestrati in Siria, allora si diceva che i campi scuola erano in Cecoslovacchia, anche se il compromesso storico velava un po’ tutto. Quelli che in Italia predicavano odio  e per caso i giudici volevano mettere dentro, trovavano rifugio in Francia. Approfondire il parallelo potrebbe aiutare a inquadrare meglio le cose, a frenare rigurgiti d’odio e anche a definire il confine fra limiti alle parole e limiti alle azioni.

Il discorso porterebbe lontano e forse urterebbe ancor più il pensiero dominante,

“l’ipocrisia di una classe politica e giornalistica, che ha passato la vita a praticare e giustificare le peggiori censure, salvo poi strillare “Je suis Charlie” e difendere la satira senza limiti, ma solo in Francia e dopo che l’hanno ammazzata. Ieri ho citato un articolo di Pierluigi Battista sul Corriere della Sera nel 2006: diceva – capita persino a lui – cose condivisibili e liberali. E cioè che “non sarà superfluo un supplemento di attenzione per scorgere qualcosa di repellente in quelle vignette di cui pure deve essere libera la circolazione”. Cioè criticava delle criticabilissime vignette, ma al contempo metteva in guardia chiunque osasse anche soltanto pensare di vietarle per legge o di chiudere i giornali che le pubblicavano. È la stessa critica che faceva Vauro, sulla reazione violenta che certe vignette sul Profeta potevano innescare, senza citare Charlie Hebdo né invocare censure o chiusure: quindi è ridicolo che oggi Battista additi Vauro al pubblico ludibrio.

“La satira scortica tutto e tutti, ci mancherebbe che pretendesse l’immunità dalle critiche. Perciò è sciacallesca l’operazione del Giornale, che sbatte Vauro in prima pagina accusandolo di versare “lacrime di coccodrillo” sui giornalisti e i vignettisti assassinati. Come se chi ha criticato una vignetta su Maometto bombarolo fosse un complice dei macellai islamisti. Ciascuno è libero di ritenere sbagliata o anche repellente una vignetta, un articolo, un libro, un programma tv, un film. Ciò che nessuno può fare è proibirli o chiuderli (come s’è fatto ripetutamente in Italia, con buona pace dei servi di regime), in nome di un “limite” che nessuno ha il diritto di fissare.

“A me, personalmente, non verrebbe mai in mente di pensare o di scrivere che “il Corano è merda”, come dice una delle vignette incriminate di Charlie Hebdo. Perciò, se ci arrivasse una vignetta così gratuita sul Corano, sul Vangelo, sul Talmud o sul libro sacro o sul simbolo di qualsiasi altra religione, anche noi che ospitiamo più satira di tutti gli altri ci penseremmo un bel po’ prima di pubblicarla.

“In nome di un limite che è chiaro e dichiarato: la sensibilità dei lettori, fossero anche soltanto uno o due quelli che potrebbero offendersi. Un quotidiano libero di informazione non è la buca delle lettere né Hyde Park Corner, ma un servizio ai propri lettori. Al contempo, è giusto e liberatorio che esistano giornali come Charlie Hebdo (ne avevamo anche in Italia, pensiamo al Male e a certe fasi di Cuore), interamente consacrati alla satira più libertina, che non hanno né debbono avere limiti. E, se qualcuno tenta di zittirli, chiudendoli o addirittura decimandone la redazione a raffiche di kalashnikov, le pagine di questo giornale libero sono a loro disposizione per ospitarli. A scatola chiusa.

“È facile per gli integralisti cattolici, protestanti, ebrei solidarizzare con la satira, ora che è stata colpita da tre islamisti sanguinari: bisognerebbe farlo sempre contro ogni censura (non contro ogni critica), anche quando nel mirino c’è la propria religione.

“Invece era tutt’altro che scontata la condanna degli stragisti parigini da parte degli ultraradicali di Hamas e di Hezbollah. La satira ha questo di bello: il suo linguaggio immediato e scioccante illumina e spalanca i cervelli. Chissà, forse il sacrificio dei ragazzacci di Charlie non è stato inutile”.