Clienti, le 5 categorie più odiate: indeciso, arrogante…

di Redazione Blitz
Pubblicato il 3 Maggio 2016 - 12:38 OLTRE 6 MESI FA
Clienti, le 5 categorie più odiate: indeciso, arrogante...

Clienti, le 5 categorie più odiate: indeciso, arrogante…

ROMA – C’è l’indeciso che non sa mai cosa scegliere, l’arrogante che ordina senza nemmeno un “per favore”, l’amicone che cerca di prendere subito confidenza e ancora il saputello e l’ansioso. Sono queste le cinque categorie di clienti più odiate dai camerieri di bar e ristoranti.

A descrivere le cinque categorie di clienti più odiate dai camerieri è Stefano Corrada per il sito Agrodolce, che spiega come chi lavora in bar e ristoranti si trovi spesso a fronteggiare improvvisati sommelier e soprattutto giornalisti enogastronomici e food blogger davvero esigenti. I clienti, dicono, “hanno sempre ragione”, ma le categorie più odiate dai camerieri sono loro:

L’indeciso. Noi conosciamo i piatti, sappiamo la loro composizione, proviamo a prevedere il loro gradimento. Ma un essere maggiorenne e vaccinato deve imparare a decidersi. Il “faccia lei”, “non so di cosa ho voglia” o “non ho proprio idea” è il modo miglio per distruggere un sogno. Caro signore, cara signora, io le spiego con la pazienza di Giobbe e l’empatia di Gerry Scotti ma a decidere deve essere lei!

L’arrogante. Passi la caduta del muro, dei valori, delle distanze; ok a non formalizzarci come fossimo a Buckingam Palace, ma se ci diamo del lei non mi fa certo dispiacere. Ma va bene anche il tu, se preferisci. Ma potresti evitare di trattarmi da servo? Se lo spaghetto è scotto, la cotoletta non è fritta in burro chiarificato, il vino scelto non viene da un vigneto disposto esattamente a Sud-Ovest, io che colpa ne ho? Esprimi il tuo dissenso, comunica i tuoi bisogni, ma si potrebbero evitare insulti, risa di scherno e scatti d’ira contro il sottoscritto?

L’amicone. Al contrario del precedente, questo è tutto una stretta di mano, un abbraccio, una battuta-tira-l’altra. Però se sei venuto al ristorante l’ultima volta più o meno quando si usavano ancora le lire, forse sarebbe meglio evitare certe confidenze. Io non ricordo cosa intendi per il solito, né il nome della moglie (la prima o la seconda) lì al tuo fianco. Dammi una mano e datti un po’ di contegno, vedrai che non te ne pentirai.

Il saputello. Certo devo aggiornarmi in tema food, è il mio lavoro. Conosco ad esempio il pomodoro san Marzano, il Pachino, il datterino, il cuore di bue e il piennolo, ma, no, il siccagno della valle del Belice mi manca. E anche quello di Belmonte, in Calabria. Non so se lo chef li usa, né se lo abbia mai fatto. Però se l’obettivo è ergersi ad esperto e riscuotere la stima dei commensali, beh, allora faccia pure.

L’ansioso. Una volta, chessò, un’amatriciana andava bene per tutta la tavolata. Oggi nemmeno alla metà. C’è chi non tollera il glutine del frumento, chi il nichel contenuto nel pomodoro, chi rifiuta il guanciale per scelta etica, chi è allergico alle proteine del pecorino grattugiato. Motivazioni sacrosante. Ma c’è chi va oltre, chi sull’onda lunga dei distinguo, chiede se la pasta ha tracce di glifosfato, se il pomodoro è di serra o coltivato all’aria aperta, se il maiale era felice quand’era ancora in vita. O piuttosto se il guanciale sia stato affumicato a freddo e con che tipo di legno, e ancora se abbia sofferto quando è stato tagliato a striscioline. Rispondo come Socrate, so di non sapere. O forse era Platone?”.