Quel complotto europeo per far cadere Berlusconi, Stefano Filippi sul Giornale

di Redazione Blitz
Pubblicato il 27 Marzo 2014 - 13:36 OLTRE 6 MESI FA
Bugie e verità, la copertina del libro di Giulio Tremonti

Bugie e verità, la copertina del libro di Giulio Tremonti

ROMA – “Le Bugie e verità di Giulio Tre­monti – scrive Stefano Filippi del Giornale – aggiungono nuovi elemen­ti alla ricostruzione dei mesi che portarono alla caduta del gover­no Berlusconi”.

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L’ex ministro lo chiama un«dolce colpo di stato». I suoi racconti completano le te­stimonianze raccolte dal giornali­sta Alan Friedman nel libro Am­mazziamo il gattopardo . «Oggi viene presentato come un succes­so il fatto che lo spread sia tornato ai livelli del luglio 2011», sottoli­nea Tremonti: vuol dire che allo­ra le cose non andavano poi così male.
Le date-chiave del complotto sono tre. Il 21 luglio si riunisce il Consiglio dell’Ue che accoglie «con favore il pacchetto di misu­re di bilancio recentemente pre­sentato dal governo italiano». «Monsieur Trichet – ricorda Tre­monti- se ne restò zitto e buono». Il 4 agosto, alla conferenza stam­pa mensile della Bce, Trichet ri­spose «Non ho da fare commen­ti» al giornalista che gli faceva no­tare gli acqu­isti di titoli portoghe­si e irlandesi e non italiani.

Il gior­no dopo, 5 agosto, si scatena la bu­fera con la lettera firmata Trichet ­Draghi che dettò all’Italia misure draconiane. «Un ricatto – taglia corto l’ex ministro- un onere im­posto nella forma del diktat e in violazione delle regole europee che prevedono l’indipendenza della Bce dai governi europei, e dei governi dalla Bce».
Le conseguenze furono quelle che conosciamo: «Una restrizio­ne di bilancio imposta a un’eco­nomia già in rallentamento è un gravissimo errore di politica eco­nomica. Subito dopo la Bce ha inondato di liquidità il sistema fi­nanziario e bancario»: tutto il sistema era al collasso, indipen­dentemente dall’Italia.

Nel frat­tempo un gruppo di banchieri, politici e finanzieri (Bazoli, De Be­nedetti, Prodi, Passera, Monti, Caloia) si era riunito a Milano per pianificare il dopo-Berlusconi.
Nei mesi seguenti Berlusconi fece trapelare la possibilità di uscire dall’euro. Lorenzo Bini Smaghi, membro del Comitato esecutivo della Bce fino al fatidi­co novembre 2011, così scrive nel libro Morire d’austerità : «Non è un caso che le dimissioni del pri­mo ministro greco Papandreou siano avvenute pochi giorni do­po il suo annuncio di tenere un re­ferendum sull’euro, e che quelle di Berlusconi siano anch’esse av­venute dopo che l’ipotesi di usci­ta dall’euro era stata ventilata in colloqui privati con i governi de­gli altri Paesi dell’euro».

Secondo Tremonti ciò che spa­ventò veramente le cancellerie europee era la netta resistenza ita­liana a entrare nel Fondo salva Stati. Lui e Berlusconi chiedeva­no «di calcolare il contributo di ogni Paese al nuovo fondo di sal­vataggio non in base all­a percentuale di partecipazione al capita­le della Bce ( 18 per cento per l’Ita­lia), ma in percentuale rispetto al­l’effettivo grado di esposizione al rischio estero».

Che per l’Italia non superava il 5 per cento. I Pae­si più esposti, Francia e Germa­nia in testa, scaricavano su di noi i loro rischi. Al G20 di Cannes il 3-4 novembre Obama e la Merkel cer­carono di imporre a Italia e Spa­gna gli aiuti del Fondo monetario internaziona­le a condizioni capestro. Tre­monti cita il li­bro dell’allora premier iberi­co Zapatero,
El dilema
: «Nei corridoi si par­lava di Mario Monti. C’era un ambiente estremamen­te critico verso il governo ita­liano. “Conosco modi migliori per suicidarsi” era la frase che Tre­monti usava per resistere. Il cate­naccio non lasciava spiragli. L’Ita­lia non avrebbe ceduto».

La spal­lata venne da un altro intervento speculativo sui Btp.

«Tutto regola­re dunque? Tutto pulito?», si chie­de Tremonti. Domande retori­che.