Coronavirus, più sani in carcere? Travaglio: 1 contagio su 7.600, 1 su 1.800 fuori

di Redazione Blitz
Pubblicato il 20 Marzo 2020 - 12:25 OLTRE 6 MESI FA
Coronavirus, più sani in carcere? Travaglio: 1 contagio su 7.600, 1 su 1.800 fuori

Coronavirus, più sani in carcere? Travaglio: 1 contagio su 7.600, 1 su 1.800 fuori

Coronavirus, la segregazione assoluta, di tipo carcerario, sembra una misura efficace per prevenirne la diffusione. Marco Travaglio ha fatto i conti e afferma:

“I numeri degli “infetti” dicono che si è più sicuri in carcere che fuori”.

I numeri di Travaglio sono dati ufficiali. A ieri, afferma, gli italiani positivi al Covid-19 erano 33.190, di cui 33.182 liberi e 8 detenuti (l’altroieri erano 10, poi 2 sono guariti).

La proporzione è di 1 contagiato ogni 1.800 italiani liberi e 1 contagiato su 7.600 detenuti.

Deduzione: “Chi sta in casa rischia l’infezione quattro volte più di chi sta in cella”.

Può darsi, concede Travaglio, che nei prossimi giorni i numeri mutino o addirittura si ribaltino. Nel qual caso bisognerà intervenire, ma con misure che riducano i pericoli di contagio. E non che li moltiplichino, come quella di mandare il maggior numero possibile di detenuti a casa (cioè ai domiciliari). Tantopiù che a casa sono già reclusi quasi tutti gli italiani, a cui si ordina di non uscire per evitare contagi attivi e passivi.

Le rivolte di 6mila detenuti in 27 carceri, usate dai fautori della decarcerazione alla Sofri e Manconi (ex leader ed ex capo del servizio d’ordine di Lotta Continua), col contorno di renziani, pidini, ultrasinistri e radicali, non c’entrano nulla col coronavirus, avverte Travaglio.

Infatti chi le ha promosse ha preso a pretesto proprio una misura sanitario-profilattica del Guardasigilli e del Dap: la sospensione dei colloqui de visu per evitare che parenti infetti portino il virus fra le mura del carcere, dove galopperebbe più rapidamente che fuori per gli spazi esigui, le carenze igieniche e la promiscuità.

Che i detenuti approfittino del Covid-19 per forzare la mano ai politici nella speranza di uscire prima, possibilmente subito, è comprensibile, per quanto esecrabili siano le evasioni e le violenze con 13 morti (non per il virus, per le rivolte): i disagi causati dal sovraffollamento sono un problema reale e drammatico, anche se non dipendono dai troppi detenuti, ma dai pochi posti-cella in rapporto al fabbisogno.

“Ma è disgustosa e criminogena la legittimazione politica dei rivoltosi da partiti e parlamentari irresponsabili, che chiedono la testa del capo del Dap perché non piace ai detenuti sfasciatutto armati di bastoni”.

Conclusione:

Le misure del governo in via di attuazione, bocciate sia dai sedicenti garantisti sia da Salvini, quindi ragionevoli, riducono al minimo il rischio che chi viene da fuori porti il coronavirus dentro:

parenti e avvocati hanno i colloqui personali sospesi e sostituiti con collegamenti Skype;

i nuovi giunti sono sottoposti a pre-triage e, prima di andare nelle celle con gli altri, trascorrono una quarantena in aree isolate;

gli agenti penitenziari e gli amministrativi vengono anch’essi visitati in pre-triage e dotati progressivamente di mascherine;

i detenuti semiliberi non rientrano più la sera, ma dormono a casa; e chi deve scontare un residuo di 18 mesi può farlo a domicilio se ne ha uno (come previsto dalla legge Alfano-Lega);

e, naturalmente, non abbia partecipato alle rivolte: limitazione che Sofri giudica “ottusa” perché “chi aderisce a una ribellione in carcere non è particolarmente delinquente”. Anzi, merita un premio.

Così la prossima volta, anziché 6 mila, si rivoltano tutti e 61 mila.