Corte d’appello di Torino, no a Davigo dal Csm: “Non ha titoli per andarci”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 30 Aprile 2015 - 11:59 OLTRE 6 MESI FA
Pier Camillo Davigo

Pier Camillo Davigo (Ansa)

ROMA – L’Onu lo ha chiamato per tenere lezioni su come funziona in Italia l’organizzazione giudiziaria. Ma il Csm non ritiene che Pier Camillo Davigo abbia le carte in regola per dirigere un ufficio come la Corte d’appello di Torino. Davigo non è magistrato che abbia bisogno di tante presentazioni. È stato uno dei protagonisti del pool Mani pulite di Milano, poi in Corte d’appello sempre a Milano, e poi a Roma, in Cassazione, dal 2005. Davigo, noto come il “dottor Sottile” ai tempi di Borrelli, Di Pietro e Colombo, perché era lui, nei casi giuridicamente più complessi, a trovare l’interpretazione giusta. È nella rosa ristretta delle toghe che, a buon diritto, può parlare di corruzione e di reati finanziari.

Eppure tutto questo, evidentemente, non basta. Come riporta Liana Milella su Repubblica,

la quinta commissione del Csm che sovrintende alle nomine dei capi degli uffici era sul punto di preferirgli un collega di Milano, Arturo Soprano, di tre anni più anziano di lui dal punto di vista professionale, lui magistrato dal ’75, Davigo dal ’78, a suo vantaggio titolare di un incarico semi direttivo, la presidenza di una sezione della Corte d’appello di Milano. Questo, in commissione, avrebbe fatto la differenza e spinto tutti i componenti, d’ogni estrazione politica e correntizia, a preferire Soprano su Davigo. Nessun dubbio, proprio un voto unanime.

Ma quando la decisione è arrivata in plenum una voce di dissenso s’è levata. È quella di Aldo Morgigni, ex toga di Magistratura indipendente, la corrente del sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri, passato però proprio con Davigo in un nuovo gruppo, quello di Autonomia e indipendenza. Già, perché Davigo ha questa “macchia” nel suo più recente passato. Dopo anni di militanza in Mi, lui toga conservatrice e non certo di sinistra, ha deciso di dire basta allo strapotere di Ferri, alla contraddizione di un magistrato che continua a vestire la toga ma di fatto entra in politica e addirittura nel governo. Davigo si propone per la presidenza di Mi, ma non viene eletto. A quel punto decide di fondare un nuovo gruppo.

Attenzione, questo è un passaggio da tenere ben presente, perché più d’uno al Csm ritiene che questa mossa abbia inciso nella votazione unanime contro Davigo. Decisione per ora bloccata. Perché Morgigni, in plenum, s’è fatto sentire. Ha messo in luce le caratteristiche professionali di Davigo, ha contestato passaggi della sua carriera che la commissione non avrebbe inserito o valutato, ha chiesto un’ulteriore riflessione e una nuova valutazione, di certo il ritorno in commissione.

E qui va registrata una sorpresa. Perché il vice presidente del Csm Giovanni Legnini, che avrebbe potuto lasciar correre e far votare subito, s’è schierato invece «per fare una riflessione ulteriore» sulla decisione di escludere Davigo dalla poltrona di presidente della Corte di appello di Torino, lasciata vuota da Marcello Maddalena, un altro magistrato che ha abbandonato Mi per approdare al gruppo di Davigo. Legnini non parla del caso Davigo, ma l’impressione è che di fronte alla bocciatura di un magistrato come lui abbia chiesto di pensarci bene (…)