Costa Concordia, il piano segreto per smaltirla al porto di Genova
Pubblicato il 13 Giugno 2014 - 14:24 OLTRE 6 MESI FA
GENOVA – Costa Conocrdia, c’è un piano segreto per lo smaltimento del relitto. Lo anticipa Andrea Palladino sul Manifesto. La nave naufragata davanti all’isola del Giglio (Livorno) nel gennaio del 2012 è ancora lì, ma presto dovrà essere portata al porto di Genova per essere rottamata.
Il progetto è stato approvato dalla regione Liguria lo scorso maggio e prevede che il 20 luglio il relitto della Concordia, dopo aver attraversato il santuario dei cetacei in barba agli animalisti (e ai poveri pesci) approderà sull’angolo della diga foranea di Voltri, terminal container genovese. Lì dovrebbe essere smaltito dalla San Giorgio del Porto spa, cantiere navale specializzato in riparazioni.
Scrive il Manifesto:
“La società fa parte della cordata — guidata dalla Saipem — scelta per la demolizione e rottamazione della Costa Concordia. Un’aggiudicazione avvenuta senza la divulgazione del capitolato, nella massima riservatezza chiesta ed ottenuta dal club di assicuratori della nave e dall’armatore, finanziatori dell’operazione.
La documentazione presentata dal consulente Tomaso Gerbino per conto della San Giorgio del Porto di Genova è in buona parte coperta da omissis. Su 47 pagine che compongono la sintesi tecnica pubblicata dalla regione nel corso della procedura di screening, ben ventidue sono state tagliate, eliminate dal file depositato nei server.
Eppure, sottolinea Palladino, ci sarebbe tanto da capire. Come il rischio ambientale.
“La decisione degli uffici regionali è stata quella di non avviare nessuna valutazione d’impatto ambientale, sottoponendo, nel contempo, al segreto d’ufficio il cuore del progetto. Rottamare una nave non è però un gioco da ragazzi. Scorrendo la relazione firmata dalla responsabile del dipartimento ambiente si scopre l’elenco dei potenziali rifiuti da trattare demolendo una nave: «Lubrificanti, carburanti, acque di sentina, pitture, Tbt, amianto, Pcb, anodi, batterie, freon, elementi radioattivi ecc.». Rifiuti pericolosi, estremamente difficili da manipolare in assoluta sicurezza. Lista riportata dalla stessa azienda all’interno del progetto. E colpisce la presenza di sostanze oggi vietate, come il Pcb, che potrebbero essere contenute in una delle tante carrette del mare che approderanno nel porto di Genova. (…)
Dove verranno trattati questi materiali? Secondo la parte pubblica del progetto (25 pagine di sintesi e quattro tabelle) l’estrazione dei materiali pericolosi dai relitti avverrà nell’area del porto destinata alla cantieristica navale, in un bacino a secco in grado di evitare la possibile contaminazione del mare. Zona, questa, che si trova a poche centinaia di metri dalla Fiera e dal cuore della città. Un’area chiusa al pubblico, lontana dagli occhi indiscreti”.
C’è poi la questione che riguarda l’isola del Giglio e le sue acque:
“Nel contratto si legge con chiarezza qual è il pericolo, il vero incubo nella gestione della nave: «Le criticità ambientali (…) risultano essere legate al possibile sversamento di materiali inquinanti nella colonna d’acqua». Resti di idrocarburi e sostanze chimiche, mescolate con l’acqua marina. Anche per questo l’Arpat garantisce un monitoraggio continuo, pubblicato sul sito istituzionale. Diverso è l’approccio che si legge nel progetto approvato dalla regione Liguria: «Nel caso di lavori a mare non sono prevedibili rilasci di sostanze pericolose, ma tuttavia l’area di cantiere verrà delimitata con panne galleggianti a doppia camicia». Il monitoraggio previsto, in questo caso, dalla relazione istruttoria elaborata dalla regione Liguria non sembra essere affidato alle agenzie pubbliche, ma ad un generico «personale esperto» che «si assumerà la piena responsabilità dei risultati».”